certe mattine mi viene in mente
la poesia del secolo
che parla di donne e di uomini
e di tutte le altre cose
la penso in una lingua difficile da spiegare
con groppi in gola e sorrisi
e dolori localizzati e diffusi
lingua di lacrime felici e singhiozzi
di terrore e tachicardie
e mani nodose inspessite
unghie ruvide come selce
e occhi di stagni turchesi e verdi
e terra ferrosa e azotata
parole che rottolano sui prati
o che si incuneano come aghi.
Ampie occhiate al cielo.
talvolta mi fermo con la mente
avanti a questo spettacolo
che come un terremoto prende corpo
il mio corpo, e ne fa crisalide.
e dentro, un gorgo, si compone lentamente
con i suoi misteri e i suoi abissi
il tuono, la parola, l’abbandono, la doma,
l’apparteneza.
Avanti allo specchio
il solito sguardo, ma non sono io,
non sono solo. Sei tu.
E ti guardo come si guarda una luce.
Senza capire, senza di me, si rinnova la vita.
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