12 e 18 di questo Tempo all’ombra
Senza maglia il sudore luccica
Sulla panza il vento raffresca
Tra i campi che tolgono il respiro
Coi gialli accesi e i verdi elettrici – Maggiolini
Quello che vuoi dire lo sa solo iddio
Ma la voce ha detto che devi dirlo
Nel mezzo della corsa dice
ascolti musiche di secoli passati
Usi la terza persona come i sogni che non son desideri
-Famme restà conte sinnò me moro
Dice Gabriella. Ritorna una vecchia poesia francese sulla memoria. Dall’altro cade e Dice che tutto è simbolo.
-E tu si nu strunz. Dice la voce. Il coro degli angeli.
Il fiume. Le sterlizie che sorgeranno tra almeno 9 ore. Ora prendi e mescola tutto. Mentre sudi come un cammello senza pelo nella luce dell’alter.co.
Ieri eri sulla cima oggi sotto al fiume. Cosa cambia se non la posizione? Cosa cerchi sotto questi sassi? E perché sei dove sei?
Perché fai domande se sai che non serve a niente?. E perché sul nulla scommetti la vita che resta giorno dopo giorno dopoggiorno? Cosa importa. Cosa importa?
Jammucenne va’.
A cosa serve la poesia
Tu hai la poesia
Che vuol dire in lingua asprica
Che sai leggere
E se sai leggere sai scrivere
E se sai scrivere sai pensare
E se sai pensare sai guardare
E se sai guardare mi vedi
E se mi vedi, sai…
…e se sai sai amare
se sai amare mi ami
e se mi ami
Perché non mi hai ancora portato il rotolo di carta igienica? Non vedi che è finito?
La ricetta sperimentare per vivere felisce
Questo è il posto in cui un tizio
scrive una poesia che vol’esse una
ricetta per vivere felice
Poi si accorge di aggiungere sempre
Un ingrediente dopo l’altro. all’infinito.
E quindi muore alla lontana
scrivendo la cantata più inutile di sempre
…Ma per farla sperimentale. Alla maniera intellettuale
conta gli ingredienti alla rovescia
come se piovesse dalla terra verso il cielo
E mette punti un po’ alla cazzo, e qualche stop
Al flusso dincoscienza e qualche accenno di passaggi a livello Tralevirgoleattaccate e poi
Altra segnaletica a piacere
E troncamenti e verbi inesistenti
Fino a far davvero una inutile poesia.
E in calce allora scrive: Basta crederci. Non c’è regolamento. Nella testa ci ho tutto un parlamento. Tu vedessi nei calzoni che gran scoglionamento.
Quello che scrivono i posti
I posti che sono solo posti
Dettano il ritmo alla vita come alla scrittura.
Anche se sono solo posti.
Vedo tegole accostate sui tetti?
le parole si fanno piccoli vermetti scalatori
Vedo monti e valli rigogliose e le parole si fanno ariose che manco Mascagni e parlano anche i fiumi
Vedo merde per le strade dissestate?
Vien voglia urgente di autobiografie
Vedo le persone personare
e la voce si fa tenera e accogliente e un poco tetra…
E comprensiva e ruvida come il legno cotto al sole
Persino nel plotone di esecuzione vedo il dolore delle loro madri giovani e le cinghie lasche dei padri mal dotati.
Se fossi cieco cosa scriverei? Domando
E se sordo o muto o zoppo e incarognito?
Cosa è la voce oltre l’esperienza?
Che percentuale occupa di me la letteratura?
E perché questa malinconia? Questa mancanza?
Cosa vuoi dire veramente e perché sempre mai o solo sempre?
Ti piace il quasi-quasi, ti addormenti con i forse e tutto quello che non sai, anche tu lo vuoi cantare. Per questo hai perso ogni inutile pudore. E cogli ogni occasione per cantare.
Il molto lo ignori! Che grande ispirazione. Se solo avessi una voce educata…
La vita succede tra una occasione persa ed una colta senza mai saperlo.
E questo già ti basta, ti fa sorridere, ti mette insieme agli altri, nella bolgia, ma tu mettici la musica e un po’ di comprensione. Vedrai. Vedrai. Che poi sarà bellissimo anche scomparire.
I NON CAMPI ELISÈ
Mettiamo che io sia in Francia
Con pochi Giga a disposizione
Per inviarti stupide foto di un gabbiano
Che si gratta le ascelle e ci fa sbellicare
Mettiamo che io sia là, e non ci sono.
E che sia in compagnia delle voci di strada
Che bisbigliano cose perlopiù incomprensibili
E che ci sia andato per chissà quale moto di fantasia
Perché dovrei andare in Francia?
E perché no?
Mettiamo che questo viale dei campi Elisi
Sia una rampa di lancio
Verso un deserto tartaro di medie dimensioni
Dove quando sputi a pieni polmoni
Comunque non ne scomodi i confini
Largo abbastanza per danzare un sirtaki
E lungo il giusto, comodo per fare piccole digressioni e qualche flashback immaginario
Ecco. Sono qui che avanzo lungo questa pista
In direzione comoda, col petto a valle a sfruttare
L’inerzia delle parole. Qui accadono cose primitive! Rutti e peti e moti di coscienza e
Anche i cani si lasciano andare a sfrenate gimnopedìe.
(Hai notato come ritornano i fatti greci anche nel metaluogo? Credo sia la mia insicurezza che fa sfoggio di mini approssimata erudizione ).
Dato il posto, mi siedo sull’asfalto.
Quello che vedo sono culi e se avessi più giga a disposizione ti invierei qualche dettaglio più preciso. Ma invece no. Col mio abbonamento posso solo impacchettare le parole e spingerle col fiato dentro questa buca. E qui maturano. Virano acetose e mettono carattere. Spigolano o smorzano i concetti totalmente a mia insaputa.
Su questa rampa che pare una culostrada
Seduto e forse mai esistito, argomento di cose sconosciute come se padroneggiassi ogni increspatura universale.
Ed è tanto luminosa la parola
Che spengono i lampioni quando scura.
Prima disperavo e compiacevo, per così tanta poca cosa. Poi un coglione ha tirato fuori la parola anima. Così dal nulla di una religione
E tutti i culi hanno smesso di parlare.
Vedessi che silenzio.
– Ah, se solo avessi i giga per un video!
Che immaturità che arroganza farfuglia l’ignoranza. Comunque l’ho ignorata, ho riso molto con amico gabbiano ascella prurigginosa
Ci siamo fatti un goccio di incoscienza
E incamminati toro toro verso la frontiera
Che vuol dire solo Verso
Talmente tanto a lungo che ho smesso di parlare
E lui di camminare.
E adesso che non sono arrivato
Non ho alcuna voglia di tornare.
L’aggeggio qui lampeggia. Dice poca batteria.
Ora scusa ma non vado, spengo tutto e ti saluto.
Quasi Mai 20-04-2022
Alla fontana romana
Al cavalcavia
Ai gelsomini
Alle pietre paciose
All’allegria
Alla bottiglia vuota
Alla morte
Alla lucertola
Al salto dell’acqua
All’oleandro
Arriva la parola
E non torna indietro
E come una breccia
Nel tempo La corsa
si è fatta sentimento
Oggi piangono anche le sedie
Che ci hanno visti diventare qualcosa
Di molto diverso dalle aspettative
E quindi scomparire
per qualcuno o per tutti
a seconda che.
E come riflessi all’imbrunire
In autostrada
Abbiamo preso molti abbagli
Qui ogni cosa è guadagnata
Le domande si perdono
Nel calcestruzzo
scorticato dallo iodio
E i nostri ferri ossidati
Non scintillano
come un’idea di spada ardita
Ma sottili e rosse come corde
Di una sola nota
Cantano al vento la canzone
Delle cose che passano
E non tornano…
E non tornano
E non tornano
quasi mai.
“la sera era tanto frizzante e frescache inciampava tra le margherite…”
stanotte pensavo ad una canzone
o a un romanzo o a una donna
e ho pensato di inziarla così:
la sera era tanto frizzante e fresca
che inciampava tra le margherite.
poi ho dormito il sonno dei fessi
e ho sognato di aver conquistato
una canzone, un romanzo o una donna…
e la cosa mi ha intristito come
chi va dalle cose
senza che le cose vadano a lui.
un antimaometto, insomma, tristano,
roba da far piangere gli anticristi.
il fatto è che puoi pensare quello che ti pare
in qualsiasi momento della tua esistenza
ma forse vorresti che le cose ti pensino
e che i romanzi ti scrivano e che poesie appaiano
…che poi è quello che accade nella realtà
almeno a quella di riferimento –
ma talvolta non sei abbastanza lucido per capire
che sei tu la poesia, tu il sogno, tu la donna
e tu perfino la sera e le margherite e
questo ti rallegra e ti ferisce costantemente
come in una emorragia.
E questa tasca bucata dell’universo da cui
sbucano mostri e cose piccolissime con egual fatica
di misura uguale e segno come viene
come i pensieri ad esempio, e le sere e le margherite
e tutto il resto non ancora immaginato.
Il Ricco Enrico Taro.
hai carta
un foglio e sex parole
spestiche slisegni menafrito
che vogliono dire:
analgespie e tiri di rupi picche
a sfrizzo sul palamo assaj verde
perciò dico. sei ricco
e popò rinco, Enrico Taro:
fumepprista giannonese.
che nel mentre del diterbio
slacci d’olio la canzone
Fremiti d’impanto- slanguidi!
Hai segni turgidi sbrinati
ricco come un freppile d’orata
trace entro spallilo framato, allisatta.
Ma che non sas. non sas. che non sas!
7 APRILE. QUASI MILLECCINQUE.
Penso al mio compleanno
Quello dei 33
Ch’ era un numero a due labbra
E di terra che tremava.
Immota manent. Porto scritto nello sguardo.
Sono passati dieci anni fra tre giorni
e ora
dico:
Vecchia scarpa. Tappo di bottiglia e suoni.
Hai lo stesso cuore sporco
dei tre anni. Lo stesso disonesto.
Tu pisciavi nelle scarpe della bidella.
Tentasti la fuga dall’asilo
Sfondando a calci la vecchia recinzione.
Spiavi con destrezza sotto le gonnelle e poi ti innamoravi come pera cotta di ogni tiramento.
Bambine, che miracolo. Pensavi incuriosito. Adesso lo sai che
la vita è donna
Pensi. alle tue cose come a delle cose
E che quello che ora è tuo non ha alcun significato.
E che la vita è solo una scoperta
E che sei un uomo Fortunato
Senza averne alcuna colpa
O viceversa o stai mentendo o altre cose.
Però sai anche che non capirai forse
molto più di quello che non sai.
E.
Ogni giorno pianti un chiodo nella pelle.
E poi ci passi sopra una carezza
E poi sbraiti e poi ti contraddici
E minacci una invasione. urli calci al vento
Ma poi ti fai accogliente
perché adesso ti sai arrendere e poi
In dieci anni hai scritto qualche cosa
Hai stretto molte mani
Hai cantato molte volte
E adesso hai tanti spilli
Allegri, che vagano nel cuore
Come morti certi
di non poter morire.
RaTiosveglia
Stamattina una nota
Forse un mi minore 7
Forse uno spillo
Il ricordo di un albero
un precispizio
Forse ero io
Certo che ero io
La luce che ha
Strizzato gli occhi
Dalla porta finestra
In mezzo alla neve
Come uno scherzo
Ma con piú malinconia
E poi quelle voci
Dalle altre dimensioni
Che dicevano:
“Frastelligum ancora tavolasti
Inezie spenti sliffera farcese
Spetti loculi apresti
Andia liberfica temperti!”
Che poi vorrebbe dire:
Alzati coglione alla finestra
Smetti di scrivere stonzate
Il sole è alto e ‘nevica la frasca’
È scaduto anche l’abbonamento
a questo podcast del 7 Dopo Vega!
Aprile
Aprile:
Tutti i gerundi stanno per fiorire.
La pioggia sfrizza sui gradini
E il sole scherza coi calzini
Nel mentre tu sferragli come un mulo
Ché dall’ imbrunire vuoi salvarti il culo
A questo e ad altri interrogativi non risponderemo mai.
Oggi correvo con il sole negli occhi
E tutti gli amori sono venuti a bussare
Ho pianto per la mancanza di parole
Per la mancanza di persone e di buone idee
Mi sono fermato sul finire della strada
E mi sono voltato indietro con aria rintronata
C’era un cane fulvo di paura
Che si fingeva indifferente
Come fosse già un pezzo di futuro
(Certo che lo era)
e gli ho sorriso come un fratello maggiore
ma non mi ha detto niente.
Neanche un “buonasera” o un “cosa bevi?”
Niente. Solo sana, circostanziale, indifferenza. Poi la strada è rifiorita e le scarpe di carbonio hanno fatto un buon lavoro
Il peso della luce ha inchiodato lo sguardo
Sopra lo sterrato. E le pietre bianche hanno brillato per un tot come sodio metallico
esploso dentro le pozzanghere
Dove siete amori miei? E perché tutti dentro il petto? A questi e ad altri interrogativi,
Non risponderemo mai. Perché dovremmo mai
Spostare le asticelle dentro l’esistenza
Di questa apparenza ferma come un lago?