ho provato a parlarti per metafore
raccontando di pietre e tumori, poi
ho provato ad addolcirle
parlando di acqua e lamponi
e ti dissi che la vita era uguale
alla mia mano che scivolava
sul corrimano della ringhiera
delle scale della casa canonica
vicino la mia vecchia casa,
tutta liscia e bitorzoluta da
troppe mani di vernice.
dolce e irregolare, ogni tanto mi tagliavo
ti ho scritto delle poesie
fingendo di scrivere ad altri
ai cani, al mattino, alle rocce,
alla mia valigia, al diabete, alle ferite,
alla spiga di grano, alla pozza di fango,
agli amanti, alle finestre al mattino,
al cavatappi, al vino, alla solitudine,
ho scritto odi persino ad una maniglia
solo perché mi hai sfidato,
ti ho detto cose di una tenerezza inaudita
ho dimesso gli abiti di uomo
e quelli di ragazzo
sono venuto avanti a te nudo
così come si va in ospedale
ho creduto di essere bellissimo
e lo ero, credimi, ero accecante
come ogni uomo quando smette di recitare.
Quanti giorni ho passato da solo
sperando di incontrarti per strada…
ci ho creduto davvero, guardandomi intorno
in tutte le stazioni, aeroporti, e
tu eri là, lo sentivo, ti aspettavo da secoli
saresti sbucata da dietro qualche omone,
un norvegese sorridente o un pilastro
dalla porta del bar, una volta eri di spalle, all’edicola
Ho finto di parlare al telefono con te
ho immaginato la tua voce
la tua schiena…
Ho adottato i più disparati silenzi
gli ho dato nomi di arpie e di muse
li ho invitati a cena uno alla volta
e tutti mi hanno raccontato la stessa storia
Ho imparato la disciplina
A non dare di matto
a raccogliere briciole dalla tovaglia
e a trasformare in abbuffate
…che manco Locullo
Poi un giorno, ho smesso di attendere
perché era giusto così
e anche se ogni tanto ancora ti scrivo
e la tua voce è una pacca sulla spalla
un cinque alto, un occhiolino
il mio sorriso ancora una bestemmia
come Jack Nicolson mi ardono gli occhi
e per dirla a metafore, porco d’un cane di ventura…
raccontando di pietre e tumori, poi
ho provato ad addolcirle
parlando di acqua e lamponi
e ti dissi che la vita era uguale
alla mia mano che scivolava
sul corrimano della ringhiera
delle scale della casa canonica
vicino la mia vecchia casa,
tutta liscia e bitorzoluta da
troppe mani di vernice.
dolce e irregolare, ogni tanto mi tagliavo
ti ho scritto delle poesie
fingendo di scrivere ad altri
ai cani, al mattino, alle rocce,
alla mia valigia, al diabete, alle ferite,
alla spiga di grano, alla pozza di fango,
agli amanti, alle finestre al mattino,
al cavatappi, al vino, alla solitudine,
ho scritto odi persino ad una maniglia
solo perché mi hai sfidato,
ti ho detto cose di una tenerezza inaudita
ho dimesso gli abiti di uomo
e quelli di ragazzo
sono venuto avanti a te nudo
così come si va in ospedale
ho creduto di essere bellissimo
e lo ero, credimi, ero accecante
come ogni uomo quando smette di recitare.
Quanti giorni ho passato da solo
sperando di incontrarti per strada…
ci ho creduto davvero, guardandomi intorno
in tutte le stazioni, aeroporti, e
tu eri là, lo sentivo, ti aspettavo da secoli
saresti sbucata da dietro qualche omone,
un norvegese sorridente o un pilastro
dalla porta del bar, una volta eri di spalle, all’edicola
Ho finto di parlare al telefono con te
ho immaginato la tua voce
la tua schiena…
Ho adottato i più disparati silenzi
gli ho dato nomi di arpie e di muse
li ho invitati a cena uno alla volta
e tutti mi hanno raccontato la stessa storia
Ho imparato la disciplina
A non dare di matto
a raccogliere briciole dalla tovaglia
e a trasformare in abbuffate
…che manco Locullo
Poi un giorno, ho smesso di attendere
perché era giusto così
e anche se ogni tanto ancora ti scrivo
e la tua voce è una pacca sulla spalla
un cinque alto, un occhiolino
il mio sorriso ancora una bestemmia
come Jack Nicolson mi ardono gli occhi
e per dirla a metafore, porco d’un cane di ventura…
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