Stare bene è
Conoscere il nome delle cose
Che poi significa l’ incoscienza totale
:Voglio essere un albero di mimose
E perché no? Diceva Victor
Voglio essere te che dici
Di vole essere un albero di mimose
Che se pure non so come mi chiamo davvero
Dove risiedo e dove sto andando
Comprendo la bellezza universale della cosa
E questo mi basta
Almeno i giorni dispari
Poi voglio essere anche una betulla in fiore
Un pesco un ulivo un eucalipto
Spesso mi sono dato un tono
Da pino loricato
Esagero lo so
Ma sono il filo d’erba
Che cazzo me ne frega dirai.
Ma io faccio quello che voglio:
La paglia seccata al sole dell’universo:
Chi si nutrirà di me? Mi domando
La cavallina storna? Le labbra ultime della galassia? Una delle donne che ho amato
Che amo che amerò? Forse questi muri?
La terra che parla coi vermi mi attende
Col suo abbraccio caldo e umido
E poi sarò senza immaginazione
erba e alberi e polline al vento
Come altrei prima e dopo di me
E adesso ti stupisci se ti dico che sono tutti
Nello stesso momento? Che sono dio?
E queste voci che mi parlano fuori dal tempo
mi chiamano betulla e quercia e filo d’erba
A cui rispondo con:
scampoli di vento
Ricordi di sorgenti alla sera
Albe disertate
Mancanze di barche a vela
Ogni tanto un vaffanculo
Che fa sempre un po’ allegria.
Ebbene sono pure queste voci
E poi il silenzio – oltre la siepe
Gente cura gente. (Ovvero:scrivere in autobus di cose successe in autobus)
Capitano giorni in cui sei triste:
La vita dopotutto è un continuo divenire
Per divenire bisogna trasformarsi
Per trasformarsi bisogna abbandonare:
Persone care, altri te, pensieri, luoghi, momenti vissuti eccetera eccetera…
Questi continui distacchi che chiameremo abbandoni solo per drammatizzazione sceMica, esercitano una frizione sui sentimenti. È nella nostra natura soffrire.
Questo fatto l’ho accettato da tempo
E riesco, a volte a fatica, a nutrirmi anche di questa bellezza.
Quello che ho compreso negli anni è che:
La gente cura la gente.
Esempio minore (senza scomodare direttamente il tema della morte):
Tempo fa me ne andavo verso casa assai triste. Avevo accompagnato in aeroporto una ragazza. E solo quando la lasciai all’imbarco, dopo circa dieci passi verso il ritorno, mi prese un’angoscia di quelle terribili. A metà tra un attacco di panico e di pane.
Quando ti si crea un vuoto spinterrimo nello stomaco che tu vorresti riempire con un succulento panino ma che invece non ce la fai proprio a buttare giù manco un filo d’aria. Anche respirare diventa un affare da centomilionididollari. Ci siamo capiti. Ansia da cuore spremuto e di cane abbandonato al palo su quelle autostrade nel mezzo del deserto. Dicevo: me ne andavo triste coi due biglietti dell’autobus ancora caldi, che vuol dire altra corsa disponibile.
Salito sullo stesso autobus da cui ero sceso, un tedesco di mezza età un poco strafalciato, un uomo di affari andati male, cercava di convincere l’autista, in inClese, che il biglietto che brandiva come un passpartout, anche se riportava la dicitura FIRENZE, fosse valido anche per Pisa.
L’autista diversamente poliglotta: deh! ma ‘un lo vedi che sce scritto Firenze, Dioane!
Con quella empatia che si ha solo tra superstiti, metto una mano sulla spalla del tedesco e mentre si sta per voltare, con l’altra mano gli allungo il secondo bigliettoancoracaldo che avevo stretto fino al quel momento, sotto il naso: this is valid. Have a good day. Gli faccio.
Il tedesco smette di parlare con l’autista che tanto si capiva pure in tedesco che non capiva un cazzo e comincia a frugare in un portamonete di pelle nera. Che pensavo osse prerogativa dei marchi svizzeri.
-no please! Gli dico
e con la mano gli faccio il gesto dello stop a mano aperta verso il portamonete.
Allora mi sorride e in tedesco mi dice qualcosa a metà tra: sei proprio un coglione e il: sei molto gentile. Chi lo sa.
Però il fatto è che ho cominciato a sentirmi meglio. La gentilezza spontanea, questa forma di amore primordiale, fatta di abbracci e mani sulle spalle e di sorrisi, è il più potente anti depressivo naturale. Persino più del sesso, ché pure quello ha il suo periodo naturalmente refrattario.
L’unica religione a cui mi sento di appartenere è questa. Dei, santi, semidei, li ho sempre trovati volgari e grotteschi per non parlare delle loro varie rappresentazioni.
Per dire che: la gente cura la gente. Siate gentili, non rompete troppo i coglioni al prossimo. Affidatevi alla natura, uomini compresi e cercate di stare sereni, il più possibile.
Se qualcuno se lo stesse chiedendo: NO.
La gentilezza non ha fatto ritornare quell’aereo ma adesso comunque ci penso con il sorriso e col calendario e col casco ben allacciato e le luci accese anche di giorno, sempre.
Quello che è
Quello di cui ho bisogno è:
altre storie.
La mia finisce qui
Con me che scrivo dal cesso
Dopo aver letto per l’ennesima volta
Le poesie di Raymond
(Lo farò altre mille volte, salvo complicazioni)
E mentre scrivo
Ricomincia un’altra storia
E potrei essere uno qualsiasi
Un imbianchino o un impiegato
Un rifugiato politico o un profugo
Dare la vita come ken Saro Wiwa
Se capitasse oppure essere
Un contadino veneto magari, ostregheta!
Certo se capissi qualcosa di terra
Al di là dell’intuizione…
Potrei essere qualsiasi cosa
Quello che voglio dire è:
Adesso sono qui
O almeno mi sembra di esserlo
Coi miei pensieri poco definiti
A sproloquiare
E immagino di avvolgerti come aria
Tutto intorno a quella smorfia
Che fanno le tue labbra
Quando ti compiaci
Dell’arroganza senza tempo
Dei tuoi capezzoli allo specchio.
Ma non è di erezioni lampo
Che voglio parlare
E nemmeno dell’effetto doppler
Che subiscono le cose troppo veloci.
Quello che voglio è.
Poca confidenza!
il silenzio vergine
delle case nuove
di stanze prive di tracce umane
come se Cristo Primo
avesse tolto le plastiche dai materassi
appena un’ora prima
e tu te ne stai là
Sabato pomeriggio
pioniere d’appartamento
a ciondolare tra le stanze pulite
a prendere confidenza coi muri
provi a dargli dei nomi
(ai portanti sempre nomi di donna
Su questo non ho dubbi)
con l’odore sintetico dei detersivi
con la lavatrice che ronza in sottofondo
con gli uccelli intorno
che cinguettano cose
che non oso immaginare:
eviterò battute sulla passera
e su tutta quella roba là.
ho appena ingaggiato una battaglia
con lavastoviglie, phorno e bidet!
Bisogna imporsi sulle cose
oppure esse, lentamente
potrebbero mangiarti vivo
nel mentre che stai dormendo.
Poesia di trasloco in solitaria.
Camere ammobiliate
Finestre aperte
Persiane chiuse
Si intuisce il caldo, fuori
Vento che fa spinnaker della tenda
Trasloco che fa spinnaker coi coglioni
Triste solitario y final
Il pomeriggio che fila via
senza una carezza o
Una parola d’amore
Il dovere
Così chiamano ogniporcarottura di cazzo
Attenta al cuore col suo sguardo di tenebra
Tutti hanno un posto dicono
Tutti hanno una missione credono
Ed io che certe cose non le capisco
Un poco malinconico
Abbraccio tutto e tutti
Come una ibridazione SP3
E tengo insieme i pensieri
Col nastro adesivo e
Bevo un pessimo caffè
E lo assaporo a lungo
Come si fa in quei momenti
Quando tu sei all’aeroporto
E io faccio finta di niente
E tu mi dici: beh, ciao.
Ed io ti bacio sulla tempia
E poi me ne vado
Schiena dritta
Con la morte
Nelle scarpe:
E col pensiero ti seguo
Fino al metal detector
E ti spoglio e ti amo a lungo
Sopra al nastro dei bagagli
Finché realtà non ci separi:
Ché il caffè è amaro
Ma lascia comunque
un velo di felicità
negli occhi.
prima di tutti
ti svegli prima di tutti
l’amore della tua vita
dorme ancora
dorme da tremila anni
a qualcuno verrà in mente
prima o poi di
avviargli il processo di mummificazione
il caldo è ancora timido
e dal balcone spalancato
entrano soltanto il suono
delle coperte sbattute
e qualche allegro cinguettio
poi il vociare allegro
che conosci bene
quel parlare di sciocchezze
e cose di famiglia
e ancora gli uccelli
su uccelli in uccelli per uccelii
che sembra fatto apposta
per farti salire la malinconia
Maggio 07
Si spezzano stelle sui rami
Il sole che annuncia l’estate
Si fa per metà ombra
Il vento venuto dal deserto
Arriva fino al midollo
E poi fuoriesce dagli occhi.
I pensieri più caldi
Che lavano a fondo le botti
fanno bagnato lo sguardo
Cristalli di sale
Si fanno parole
Tra i denti e
i racconti suonano
Come sabbia
tra pietre.
È vita continua l’assenza.
Fuori dal tempo
La polvere
ferma la macina.
Con la forza dei vinti
Si vive.
NOSTALGHIA
Un ragazzo urla una roba al cielo
Una canzone da stadio
Ad occhi chiusi
E poi un altro
E altri appresso
Poi è un popolo
Ad alzare le braccia
Occhi chiusi
Potrebbero urlare qualsiasi cosa
Sarebbe lo stesso
Come un animale affamato
Che esce dal letargo
Il popolo mi fa sempre un certo orrore
Andrei a conoscerli uno per uno
“La gente è gentile” scrive un amico
Il popolo è sempre ottuso
Impicca dilania spacca violenta incendia
Qualche giorno fa una ragazza molto giovane
Mi parlava di lotta di classe e di rivoluzione
Mi pareva di stare in un film di Moretti
In un Dejavù con addosso 40 anni di jet leg
Quali classi? Le ho chiesto
Qua dobbiamo prima ricostruire le parole
Una per una
Seminare gentilezza e parlare di amore
Sei un sognatore, mi ha detto
Grazie per il complimento le ho sorrisato
Poi le ho prescritto Nostalghia di Tarkowskij
Due volte al giorno, lontano dai pasti
E un poco di poesia…
Ché l’ingegneria è l’arte di approssimare
Ché se lo capisce davvero è già un passo avanti, poi…
La vita farà il resto
Mi pareva una in gamba
Nonostante la nostalgia
Il Marxismo-Leninismo
Nonostante le cantilene
I sindacati la pappardella
Il giornale da piazzare
Gli occhi belli
La nostalgia il tedio la saudade
Quel fado antico
La sconfitta
che portava negli occhi
d’amore e di merda
Potrei dirlo meglio
Ma che importa?
È solo una voce
Abbandonata è l’ansia
Di essere acuti
Il piccione e le rose
Lasciata ogni ambizione
Per strada
Si è parlato d’amore
e di merda
senza stonare.
Domenica a Pranzo (la spada in quella roccia)
Domenica a pranzo
Non lo sa nessuno quello che stai pensando
E butti giù un sorso di buon vino
Ed è come se la terra ti abbracciasse
Ho cucinato con amore
Mescolando le melanzane della COOP
Coi pomodorini del mio orto
Del cacio ricotta di un certo livello
del pepe e dell’habanero
E spalsh il secondo sorso di vino
Che lava la bocca come certi baci
Parecchio bagnati
Che lasciano sul fondo dello sguardo
Un certo amore che se mi guardassi allo specchio adesso mi innamorerei
se non altro per pietà
È così che ce la raccontiamo
O forse è davvero così che sta andando
Questa domenica di metà maggio
Col vento gentile del deserto
Che fa compagnia e che scherza gli alberi
E i capelli delle donne
E che ci fa quel solletico sul collo
A noi che selvatici
Che ci accoppiamo solo al plenilunio
Quando muore un papa nel mentre che
Qualcuno con più valore di noi
Sta estraendo quella spada
Dalla quella aspra
lontanissima roccia.
Mavco Auvelio Pisellonio
Bar in periferia
in overdose di antistaminici
il tavolo ha i piedi sul cemento
che sta sdraiato sul terreno e
più in basso tracce di ferro
ci sono, lo so, ma non si vedono
come tutte le cose che reggono il mondo
avanti ad un caffè da gastrite
(ché a Pisa è sempre avvelenato)
la sedia è la più comoda di sempre
e la vita mi pesa sul serio oggi
comunque la continuo a scherzare
ci sono ragazze al tavolo accanto
due cani e tre piccioni che aspettano
sciroppo il caffè in qualche secondo
e quindi? Tutto qua? Che vuoi?
Dice sempre la voce nascosta
nei caffè fatti male
queste ed altre questioni
sollevano i caffè di provincia
e le ragazze vanno via e
con una incrociamo lo sguardo
non so nemmeno se è bella
ha i capelli lisci e lunghi
penso a De Gregori a Belli Capelli
spartiamo qualcosa
che non ricorderemo domani
Si parla dei Monty Phyton
a mezzo internet a una certa distanza
lei mi mette di buon umore
lei mi fa ridere con le imitazioni
ha nella voce un filo d’argento
Mavco Auvelio Pisellonio
Mavco Auvelio Pisellonio
Mavco Auvelio Pisellonio
non fa ridere anche voi?
Ferlinghetti in tv
Ferlinghetti in tv a 93 anni
San Francisco ha una luce mutevole
Il poeta è il baluardo ultimo
Attacca pacificamente lo status quo, dice
Parla di poesia sdraiata in piedi e seduta
Il vecchio ne ha viste parecchie
Sotto la finestra passano auto e piedi
Come in una serie tv americana
Con quelle finestre a ghigliottina
Che tanto mettono ansia a noi nati per campi
Lo vedi che ha 93 anni e tutta una vita davanti
E una ventina di vite di dietro
E pare che debba decollare
coi suoi occhiali rossi da un momento all’altro
Ma invece resta piantato sulla poltrona a leggere frammenti e se pure le mani tremano leggermente, la voce è intatta
è quella di un tempo senza tempo
C’è dell’iromia latente nell’aria
Nel mentre scatto delle foto
al mio appartamento che poi inserirò
in uno di quegli annunci privi di fantasia dove una voce recita cose del tipo:
#termoautonomo #luminosissimo e un sacco di altre minchiate del genere
Quando invece si dovrebbe poter scrivere:
Qui si è amato sui tavoli, sulle sedie sui balconi e altre robe simili a piacere
E che una mattina mi svegliai prestissimo
Certo di trovarmi a Ushuaia
a due sguardi dal Perito Moreno
e soltanto questa finestra mi riportò sulla terra
Col profumo di svuotaggio di pozzo nero
E coi capelli ricci della ragazza dirimpettaia
A cui non ho mai rivolto un saluto
E nemmeno lei.
Ma per principio, mi sonondetto, non posso cominciare sempre tutto io.
Eccheccazzo.