Nessun’altra cosa come le relazioni affettive ci rivelano la nostra misura.
Seppure abbiamo la taglia dell’universo, spesso riusciamo a simulare meglio la dimensione della formica
( lo so: “tutto e tutto”, ma è soltanto di una parte che oggi voglio parlare. L’autobus aiuta a ragionare per comparti relativamente chiusi).
Niente di strano: siamo molto più formiche che stelle. Parlare di amore equivale a dire: di niente, del più e del meno, è come parlare di poesia ma con più carne. Perdere tempo essendo sinceri. Ammesso che alberghi in me una qualche forma di sincerità oggettiva.
L’amore, quello che annullerebbe ogni volontà per un bene supremo che non ci è dato di possedere. Quel mostro gentile che scava nel petto e nel profondo di quella fantasia che chiamiamo anima. Quella carezza distratta che ci segna la strada con piglio reazionario. Bisogna dominarlo con l’abbandono. Con la resa. Con la rassegnazione. Bisogna saper lasciar perdere. E quando ti rivolgeranno quella domanda da cui sei sempre fuggito, risponderai: Sì. Ti amo. E poi incalzerai:
Come amo queste nuvole roche di fuliggine e il sole nitido di novembre… Ma con più carne.
Ti amo come l’idea che avevo di me, secoli prima che io nascessi e le linee dei tuoi occhi allucinati quando dici: non odiarmi. Ti amo come l’orgia di macchine che si ammucchiano dagli sfasciacarrozze, come quel finestrino intatto che ha resistito alla pressa degli uomini automatici e come la tua voce allegra dopo tre bicchieri di pessimo vino marziano.
Ti amo tantissimo perché non ho idea di cosa voglia significare né “ti amo”, né “tantissimo”.
Ma sono quasi certo di amarti come la mia esitazione, come amo la paura di perdere tutto, io, che non ho mai avuto niente al netto delle parole che sono mie e mie soltanto fino a quando non le dico o le scrivo, e poi ritorno ad essere solo con questa cosa gradevolmente immonda che diciamo amore. Innamorato di ogni cosa da far tremare la voce anche quando è silenzio, e senza nemmeno il conforto delle cose da dire, a camminare le strade come un sentimento claustrofobico scappato di casa da secolineisecoli amen. In cerca di spazi abbastanza aperti come la O della parola eccOti, o dei tuoi occhi gentili pieni di paura o tutti quelli incontrati per caso in una vita, ma allora tutti quanti insieme… accomodarmi nei multiversi… e da là poi ripartire.
Perché, dimmi, non dovrei esagerare?