Io che parlo di me come se non esistessi
io che parlo di un altro che fui anche io
io che sono un fesso che scrive cose
per la noia o per la disperazione generale –
Io che mi illudo di portare gioia
nel bucodiculo del sentimento
e calco inutilmente il piede nella rena calda
e lascio uno sbuffo di polvere viva nell’aria
e premo un segno di scarpa leggera sulla terra –
scompariremo al ritorno delle piogge
nel tuonare vanitoso dei bisogni
nel ruggire stanco della malattia
riappariremo in qualche scritto e
ci confonderanno
col figlio del panettiere educato
col pusher strafatto sui binari
con l’incedere spavaldo
di certa gente in aeroporto
che rincorre il tempo
sgambettandolo con l’ombrello –
parleremo fino a dimenticare
chi siamo stati veramente
o per sentito dire –
cosa resterà di noi?
le parole degli altri
un paio di sentimenti
regali di qualcuno
più generoso di noi
– gli altri.
Dettatura totalitaria
Scrivi, dice la voce:
Le vie dell’amore sono sfinite.
Ancora, canta:
“non dire una parola che non sia d’amore.”
poi, a capo:
volersi bene è tutto. Troppo poco è altro.
Raccogli il tempo che bruci –
mettilo nel mortaio col sale grosso
picchia con le pietre a tempo di salsa
fanne un pesto di assenza e
servi a tavola con due fette di cuore
ben scottato sulla fiamma viva
e poi spellato dalle mani della prima volta.
Servi il tutto su di un piatto di coccio
a chi non ha appetito
e a tutti quelli a che non hanno sete
ai degenerati ai violenti ai multinazionali
agli speculatori della ultima ora
agli aguzzini.
Ripulisci il tutto.
getta gli avanzi alle galline e ai porci
torna da lei a mani vuote
ti darà un cuore nuovo
un nome e
altre cose da cantare all’ombra.
O forse no.
Anche i gabbiani si grattano le ascelle.
la voce del giorno
cambia ad ogni risveglio
c’è una musica oggi
che spettina gli alberi
prova a mettere ordine là
dove l’ordine non c’è mai stato –
stamattina ero cupo
come un camino spento
poi si è fermato un gabbiano
avanti alla finestra
:forse pioverà – gli ho detto
come a uno di casa
che ha perduto le chiavi
lui si è grattato col becco sotto un’ascella
e poi è ripartito insieme alla mia pena
con un sorriso e una vecchia poesia di Luzi
nel grido cupo che fa il vento
quando è stretto framuri