Treno
Questo strumento che ci separa
Come un filo di piombo
Cuce i giorni alla terra
E ne fa futuro
Il tempo a cui mi rapporto
Non è di questo mondo
Appartiene a te
– alle cose che innamorano
Se guardo il filo d’erba
Oggi – vedo l’universo
E la grandezza
Sempre mi commuove
attraverso te le solite cose
Hanno luce diversa
– Ciascuno ha le sue porte
E questa solitudine gentile
Che scalda il cuore
E le mani – come respiro
In un campo innevato
Parla una lingua antica
A cui ricorro – per dare voce
Alle cose oscure
Alle ore morte
Alle persone vive
Ai pozzi dimenticati
Con solo un palmo d’ acqua
Sul fondo fermo
del giorno.
I morti
Le tegole di una casa spinte dal vento
come foglie – sento –
il profilo delle montagne quando c’è luna
il fianco, il tuo, in penombra
la mutanda con l’ananas e
l’albero con le sue radici ferme e
certe parole che tremano come corde
e certe corde che suonano come una vita
pizzicata dagli eventi
lapidi e casette di cemento
c’è uno spazio col mio nome
ma è decisamente troppo piccolo
oppure è troppo grande e freddo
vorrei stare tra i cipressi e fiori i secchi
e i vasi vuoti – e senza nome
come i giorni senza amore
e il cancello del cimitero freddo d’inverno
e rovente d’estate
e la mano che lo chiude e che lo apre
e il passero che becca i pochi semi
e le mani che si cercano come formiche
e il mio cuore gonfio come una zampogna
e il suo canto stridulo – più adatto ad un lamento
che a una serenata, magari ai morti,
Ecco. il mio cuore canta ogni giorno la serenata ai morti
– amici miei – non abbiate fretta – tornerò
a battere il terreno – tornerò tra fiori dei pensieri
con allegria nuova – col mio eterno canto
vivo tra i morti e morto tra i vivi
a camminare – su questo filo d’ombra
che ci regala il sole.
Una nottata diffcile
Dopo una nottata difficile
La nostalgia ringhia come un cane rognoso.
È autunno. È caldo. La pioggia arriverà più tardi… leggi due righe sul cesso e pensi a tutto ciò che non hai fatto, a ciò che avresti potuto. A ciò che avrei…
Leggi Brodskij. Poi Gozzano. Poi Sinisgalli. Si torna sempre alla terra. Pensi… Penso…
Quindi fuori accade: una fisarmonica e un violino suonano prima “Besame Mucho, poi “O sole mio”, poi “dos Gardenias”… Il sole spinge forte un raggio sul mio ginocchio destro. Lo scalda timidamente, con troppa luce.
Ho chiuso i libri. Finisce la musica e per un attimo sono l’uomo più solo del mondo, di una felicità profonda, che si prova soltanto, credo, quando non possiedi più niente. Quando il tuo nome è vuoto ed il corpo un’ombra. Come una musica, ma più oscura, con meno vita, con più infinito.