Avevo uno zio un tempo

Avevo uno zio un tempo
Che viveva in un garage
Di una delle sue palazzine.
gli ripetevo spesso di vendere tutto
E di darsi alla bella vita
Ché prima o poi si muore
di palazzi
Ma si uccise di diabete
E di carezze di birra
“Zio, sei una testa di cazzo!”
Gli ripetevo quando ne combinava troppe
Lui voleva intestarmi case
Io ripetevo che non era cosa
Ché con i notai non avevo mai avuto un gran rapporto.
” Tu sì strunz! Ribatteva”
E Io ridevo…
E poi ad un tratto fu zoppo e cieco
a soli 60 anni…
Adesso ne avrei tante da raccontare
Ma il fatto è questo:
Solo le donne possono usare certe grazie
Sul fondo dell’abisso
Lo vidi solo una volta tentare di uscire dall’abbrutimento dell’autodistruzione
Quando si accompagnava ad una povera donna
che gli feceva anche da badante.
piuttosto grassoccia, ma gentile
Si ingentilì anche lui per un poco
come un ragazzo alla fine dei suoi giorni.
Brillantina e occhiali da Sole
Scintillarono ancora per qualche tempo
Tra i vapori di mignotte e
Piedi diabetici. Durò poco.
Il fatto è che la solitudine la si sopporta bene solo da ragazzi.
Sia inteso, conosco ragazzi di quasi novant’anni.
Casi eccezionali.
Grandi artisti della vita.
Ma non era questo in caso.
Alcuni muoiono di solitudine
difesa a spada tratta.
Come disgraziati.
Senza il minimo accenno di grazia
Con una bestemmia spezzata
Nel morso della vita.
Se ne vanno come un petardo
esploso in un asilo nido.

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