Le riflessioni che mi vengono, seduto sulla tazza

Le riflessioni che mi vengono, seduto sulla tazza.

La mia patologia consiste nella convinzione dell’esistenza della bellezza in ogni cosa, in ogni persona. (Non credo che la cosa sia curabile)
Mi lancio in rapporti dissanguanti, solo per disseppellirla dalla coltre di paura sotto la quale spesso si nasconde, con l’intima certezza di spuntarla, nell’eternità.
Tutto tende alla bellezza, nell’eternità delle cose.
Così come, viceversa, quello chiamiamo amore carnale verso un nostro simile, tende ad esaurirsi per come lo abbiamo conosciuto e a trasformarsi in un altro sentimento più universale. Meno personale.
Abbiamo bisogno del concetto di relatività per giustificare le dimensioni in cui sentiamo di esistere. Se pensassimo in infiniti sapremmo tendere meglio alla bellezza. Alla sacralità del bene. Non. abbiamo bisogno di filosofie diverse dalla nostra. Talvolta agisco come se fossi immortale, perché lo sono. Quando sembro aspettare, esercito il mio diritto di veto sul tempo. Così posso vedere, talvolta, quando non sono distratto dal mio ego, quanto sia meraviglioso il tutto.
Alcuni la chiamano incoscienza, soltanto perché fuggo alla nefasta legge della domanda e dell’ offerta. Fuggo il profitto. Per qualcuno è persino un atto rivoluzionario. Così, io posso affermare di amarti avanti all’eternità, senza aspettare alcuna risposta dalla vita e godere di questa libertà che a volte terrifica e atterrisce ogni voce che porto dentro. Parla per bocca di mostri senza dimensioni, la vita, incomprensibili e meravigliosi. Parla d’ amore, la libertà, spaventa col verso dell’universo, la vita.
Questo dualismo tra corpo e mente è una frizione continua su quello che chiamiamo cuore. Sul sentimento che pone radici nell’ indeterminato e al contempo muove braccia e gambe e lingue e sessi.
Ogni colpo di vanga si conficca nella terra e nel cuore. Nel mio cuore di sconfinato d’universo. Nel tuo.

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