La testa se ne va oltre la sera*
Una finestra non basta a fare una notte
Qualcuno mi disse che
Quella è la mia strada
Ed io ci ho creduto, vedi?
Avevo il cuore tenero
E un sacco di problemi
Avevo il cuore tenero
E un mucchio di problemi
Bevici sopra mi disse quella voce
Ed io seppi fare meglio
Ci avevo del talento
Seppi bere anche di sotto
E caddi e feci il rumore sordo
di una spugna con la misura colma
e mi sbucciai un ginocchio
Poi le labbra poi un orecchio e poi i pensieri
Un altro discorso è caduto da cavallo
Ci furono attimi di imbarazzante silenzio
E per recuperare ho detto col sorriso:
Io l’ho buttata lì, poi…
Ma il cuore già sapeva
Qualcuno ch’era come me
ha raccolto le parole
Dicendomi ch’erano assai belle
Ma non ero io. Non ero io
Io ero ancora alla finestra
A guardare la mia strada
E a dire che una finestra
Non vale una notte
Magari un po’ di vento ma
Niente risolto. Niente risolto.
E questo niente che ho
E questo niente che do
Il cazzochetifotte
fin dentro il cuore della pietra
vorrebbe arrivare questa voce
ma la pietra è una pietra
e questa una voce non rompe
ma scuote appena la foglia
con la forza di un passo
pigiato sulla terra con premura
– dell’amore non è più l’impeto
ma la palpebra che canta
la caduta della ciglia
– lo sguardo tremulo –
la pozzanghera sola
il falco che inciampa
la comprensione
la tenerezza
il cazzo che ti fotte.
9 ottobre 18
L’ombra schiarisce alla sera
Mentre i pensieri si addensano
Intorno a quel punto (tu cioè io) in cui
La luce diventa trapasso
Un sacchetto pieno di detersivi
Non basta a far rinvenire i pensieri
E qualcosa mi dice che forse
Ho sbagliato candeggio
Le solite domande rivolte agli dei
Cominciano a puzzare di morte
Resta sul fondo del giorno
un sedimento di voci negate
di abbracci serrati
di fiori ancora da fare.
poesianonpoesia dello spifferaio magico
peneombra
sdraiato sulla poltrona
piedi sulla scrivania
tedio domenicale che
-quantiamorifrantuma-
ingurgitato dolcissimi
e grandi imprese
fuori è tutto ribollire
dentro a fiotti
gli spifferi spingono
pelle e pareti
nell’angolo fresco
dei pensieri
e questa è la faccia
dello spifferaio magico
in barba alla finestra
e alle porte chiuse male
Davvero affanculo?
(davvero affanculo?)
mancanze
il passato per quanto non esista
scava nei miei giorni con un certo livore
così posso certamente affermare
che ciò che adesso mi manca
è proprio il mio passato
che di certo non esiste
da questo straniamento
in questa asincronia
nasce la mia ricerca
questa perenne insoddisfazione
vibra e ruota lungo l’asse dei perché
e genera pensieri centripeti e tangenti
lungo una spirale
di ineguagliabile bellezza
che poi diverge in ogni direzione
questa è sì infinita
ma spesso vuota
e lucente
e già tracciata
almeno in uno
di tutti gli universi
in cui posso pensare.
La corsetta
“Il tempo è quello che è: grandina.
Le macchine sull’acqua fanno il rumore degli alberi scossi dal vento.”
– Leggevo nella penombra del pomeriggio ed era come essere là, in quella stanza desolata della provincia delle province.
“La luce se ne va a fanculo dieci minuti prima ogni giorno. Sono solo a casa avanti ad un PC pieno di codici e di quei pensieri del tipo: potevo fare meglio di così; ma poi penso che avrei potuto fare anche peggio.
È che in fondo la solitudine me la sono guadagnata con la sincerità – Ma a chi lo dici?
Ho sempre pensato che bastasse una carezza per fare una carezza, eppure è così difficile essere una carezza quando la vita ti tira da tutti gli angoli come un lenzuolo in un bordello.
Torneranno i giorni delle rincorse sui prati e degli abbracci bagnati.
Aspetta, mi dico. Consumati bene. Avrai la pelle più liscia domani. O forse no, ma cosa importa? Domani potrai ribaltare ogni cosa, anche l’universo, se volessi…”
Chiusi il libro, fuori pioveva le prime malinconie d’ottobre. Le scarpe da corsa che avevo messo ad asciugare sul davanzale esterno della finestra, erano ancora bagnate. Vaffanculo, ripetei due o tre volte, vaffanculo. Vaffanculo.
Le calzai già allacciate, sentii il calzino bagnarsi rapidamente. Sentii freddo. Un freddo violento. Lo stesso freddo del libro. Infilai una giacca a vento, tolsi glii occhiali da vista, e di corsa, ma non troppo, mi avviai per strada a molestare il cuore.