“Il tempo è quello che è: grandina.
Le macchine sull’acqua fanno il rumore degli alberi scossi dal vento.”
– Leggevo nella penombra del pomeriggio ed era come essere là, in quella stanza desolata della provincia delle province.
“La luce se ne va a fanculo dieci minuti prima ogni giorno. Sono solo a casa avanti ad un PC pieno di codici e di quei pensieri del tipo: potevo fare meglio di così; ma poi penso che avrei potuto fare anche peggio.
È che in fondo la solitudine me la sono guadagnata con la sincerità – Ma a chi lo dici?
Ho sempre pensato che bastasse una carezza per fare una carezza, eppure è così difficile essere una carezza quando la vita ti tira da tutti gli angoli come un lenzuolo in un bordello.
Torneranno i giorni delle rincorse sui prati e degli abbracci bagnati.
Aspetta, mi dico. Consumati bene. Avrai la pelle più liscia domani. O forse no, ma cosa importa? Domani potrai ribaltare ogni cosa, anche l’universo, se volessi…”
Chiusi il libro, fuori pioveva le prime malinconie d’ottobre. Le scarpe da corsa che avevo messo ad asciugare sul davanzale esterno della finestra, erano ancora bagnate. Vaffanculo, ripetei due o tre volte, vaffanculo. Vaffanculo.
Le calzai già allacciate, sentii il calzino bagnarsi rapidamente. Sentii freddo. Un freddo violento. Lo stesso freddo del libro. Infilai una giacca a vento, tolsi glii occhiali da vista, e di corsa, ma non troppo, mi avviai per strada a molestare il cuore.
Rispondi