Sapevo essere triste in cento modi diversi
sapevo starmene in casa per giorni
evitando soprattutto gli specchi
sapevo uscire e bere fino a perdere i sensi
sapevo fermarmi in un posto qualsiasi
a guardare la gente passare e credermi ognuno di loro
sapevo fare lunghe conversazioni con me stesso
facendomi mille domande non dandomi nessuna risposta
sapevo uscire e parlare per ore con una ragazza qualsiasi
seduto al bancone di un locale qualsiasi e poi aspettare mattino
ma sapevo soprattutto camminare
camminare per ore e scrivere poesie
ad ogni accenno di allarme, ad ogni angolo di strada
ad ogni extrasistole ad ogni scossone di cielo
alle volte due parole sole tanto per potere continuare a respirare
ma poi sempre mi accadeva qualcosa:
un nuovo incontro, un sorriso, una pacca sulla spalla
e la tristezza sempre si trasformava in una sensazione
che non ho mai saputo definire se non con la parola appartenenza:
agli uomini, alle donne, agli animali, alla polvere, alle pietre,
all’universo, a niente.
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