Se mia nonna avesse tre palle.

 

La buona notizia è
Che non ho voglia di scrivere
Sono da giorni recluso in casa
Cammino nudo per le stanze
E non ho niente di buono da dire
Esco per prendere un caffè
Per fare due passi
Per andare a correre piano
I campi alla sera
Non so a cosa pensare e
Passo da un libro a un altro
Senza trovare conforto
Dai calcoli distillati
A più componenti
Ai reading e ai bicchieri di vino
Di antiche tenute
Dai panorami dolci della Toscana
Alla siepe del giardino
Che mi fissa accalorata
Come una duna verde
Brizzolata di giallo
Mi viene in mente
La storia della pagliuzza
E della trave
E della morale da cui sempre
Prendo le distanze
Quando me ne accorgo
Penso allo yin e lo yang
Ai principi taoisti
E ne deduco che
Potrei essere un uomo migliore
Potrei scrivere parole più acute
Studiare concetti più elaborati
Lasciare un segno su questa terra
Più scuro di quello che lascio
Ma non ne vedo il motivo
Mi limito ad essere gentile col mondo
E il mondo quasi sempre ricambia
Alle volte ho reazioni violente
Con chi minaccia soprusi
Ma poi me ne pento e
Potremmo perfino azzardare un amore
Nato tra me e il ragazzo ubriaco
Con la lattina di birra aperta
alla cassa della coop e
Se solo avessi una ragione valida
Per mettermi almeno la mutanda
Mentre mi aggiro da una stanza all’altra
In cerca del fresco…
E se non pensassi
a quei versi di Carver
E se avessi la vista di un lago
Al di là della finestra
E se mia nonna avesse tre palle…

una birra

Dal centro dell’ incrocio

Allo spillatore

quanti passi saranno?

La durata di una poesia penso…

Nel mentre incrocio sguardi

Cedo il passo alla signora

Scodinzola il cane

La solita coppia che litiga inutilmente

I portieri al vento avanti agli alberghi

Le comitive sedute ai tavolini

Avanti ai locali

Due gatti si guardano in cagnesco

E poi fanno l’amore

Una vita è tutte le vite

Questo mi pare chiaro

Come la birra che

una birra è tutte le birre

Con chi incroceremo le bollicine?

Con quale solitudine?

 

Seduto vicino alla finestra. guarda i piedi.

Una sera che non è mai venuta

Si assenta alla finestra

Perduta nel sole

Nel verde delle imposte

Si incastra una lucciola

Mai esistita ed

Io che non sono io

Mi fisso i piedi

E le scarpe nuove

Fuori non è

un furore di ostelli

E di finestre spalancate

È il futuro

Che mi parla con l’assenza

Di un altro mondo

Che diremo possibile

Perché questo

Non lo è più

Da almeno

due parole.

Bandiera Bianca

La notte si fa girasole

Insegue i lampioni

Lentamente

Non sei stato adeguato

Dicono di te in una certa occasione

Non è certo una sorpresa

– E quando mai ci siamo adeguati!

La notte non porta consiglio

E Il mattino è rovente

Come una chiazza d’olio

Rondini e cicale

Si danno il cambio

Al gioco del silenzio

Dalla strada spezzoni di frasi

Rimbalzano

Di finestra in finestra

Come in cerca di briciole

Ho Un rinoceronte occhialuto

Accovacciato sullo zerbino

E fantasmi scatenati e scalzi

Al posto dei pensieri

Prima ho incrociato lo sguardo

Con uno spacciatore

Ma cercare la rissa disarmato

Alle otto del mattino

Non è una buona idea

Allora mi è presa

la smania di un abbraccio

– Ecco. Ricominciano le cicale.

E la strada mi entra nel petto

Come un toro al galoppo

Poi mi esce dagli occhi

Mansueta come una mucca

Come un pianeta

Come un romanzo di Paasilinna

Ma breve e definitivo

Come quando dicono il tuo nome

E tutti i sensi

Si richiamano all’ordine

Prima della guerra

A cui non puoi far altro

Che dichiarare

Una irreversibile resa.

pas que merde

Dice che fa poesia
Per indagare il cosmo
Usano le parole
Come simboli
Parlando di inconscio
Lucidamente
E forse
ne hanno anche giovamenti
Ed io che mi ritrovo
Sempre a camminare da solo
Da un fatto a un altro
Da una strada a un poggio
Io che cambio direzione
Perché c’é una merda
O perché ci sono io
Che non vorrei essere io
E solo alle volte ci riesco
E che penso alle parole
Come a una lingua qualsiasi
Per dire che sto andando
Mentre vado
con tutto quello che significa
Ma che non so significare
E vado
come un amore
Con quattro ossa
Ed è così tetro e bello
E definitivo
Che a cosa serve
Io non vi so dire.

I Veri Liberi Muratori

 

Sono stanco degli intellettuali
E dei fascisti
Degli uni perché
credono di aver capito il mondo
Degli altri perché
Sono idioti come un paramecio
Gli intellettuali e i fascisti stancano
Anche lo sguardo e
Non sempre basta una lettura
A pulire la mente.
Dico queste cose
Parlando con un signore
Conosciuto venti minuti
prima di adesso
Al tavolino del bar.
Potrebbe essere mio padre
O mio fratello
Oppure la mia terza moglie
Piombata in questo tempo
Da un nulliverso parallezzo
Certamente a una parte di me
Con la quale dialogo spesso
quando sono da solo
a camminare le strade
Adesso si è tolto il cappello
Solo per salutarmi e
Dal mio ho abbozzato un inchino
giungendo le mani
come in preghiera
ho sempre ammirato i muratori
Con le mani spesse e pesanti
Sarebbero capaci di tutto
Con un po’ d’ acqua
una goccia di piombo
e una secchiata di terra
Sanno fare poesia
Senza manco saperlo
e se il tempo è in bonaccia
E le cicale canticchiano
La serenata all’inverno
puoi vederli fischiare
mentre scompaiono
cappelli di carta
nelle oscure frescure
dei cantieri sventrati

Livorno Centrale

Di fronte a me
Siedono due donne
Una mamma e una figlia
Parlano di spille da balia
La bimba parla fluentemente
Italiano spagnolo e portoghese
Ha la voce ferma e curiosa
Di chi avrà molte cartucce da sparare
Non può essere altrimenti
La mamma è brasiliana
Un nome ed una ciliegia
Tatuati molti anni fa
sulla spalla sinistra
Prima di salire sul treno
sulla banchina
C’era un capannello
Di ragazzi laziali
Con gli sguardi fieri
E un poco tonti
Di chi si affaccia
Ai venti anni
Un poco troppo presto
Discutevano animatamente
di tatuaggi
Erano divisi in due gruppi di pensiero
I tolleranti e gli ebeti
Tatuaggio-delinquente-tossico
Questa la linea dei meglio vestiti
Poi danno della “zecca schifosa”
Al loro amico perché
Snocciola parole di tolleranza di base
E quando sento pronunciare
La parola ” neri ”
È ormai troppo tardi
Mi sono già catapultato
In una immaginifica
girandola di metafisici schiaffi
La dialettica della bambina
È molto più complessa della loro
Articola frasi fiorite
Parla di amore con la lucidità
Che gli adulti possono soltanto immaginare
Tiro fuori dalla borsa un libro
E comincio a leggere
Di fianco il paesaggio è bruciato dal sole
Ogni tanto una macchia verde
Il cielo è azzurro come quando avevo quindici anni
Le montagne perdute nella canicola
Ricordano le certezze sfocate dal cammino
Difronte a me si compie
Il miracolo della vita
La bimba parla del padre separato
Molto poco sorridente
E pianifica i giorni
Da passare con la madre
Citando avvocati e orari di visita
Poco più in là
Gli ebeti riposano dopo notti presumo brave
notti da birra e cocacola
Dopodomani la bimba compirà nove anni
E vuole andare a Venezia
E poi forse a Parigi
Intanto Roma si prepara a riceverci
E non so mica se è pronta
Per cotanta bellezza

Va bene così

A trentacinque passi dal cancello di casa, sul lato opposto della piazza, c’è un negozio di elettronica. Vende un po’ di tutto, è un negozio all’antica. Duplica chiavi, vende componenti elettrici, elettrodomestici, orologi ecc. ecc. Non mi sorprenderebbe, un giorno, trovare in vetrina anche qualche attrezzo per la sala operatoria o chessò, una vecchia bomba a mano usata ma tenuta bene…
Il proprietario si chiama Massimo.
Massimo è flemmatico, gentile e accogliente ( un po’ come tutti gli esercenti di questa zona, cosa eccezionale per Pisa), ha l’aria di uno che si rompe il cazzo di riparare le cose per averne riparate tante. Adesso preferisce vendere. Gli affari sembrano andare così così…
E’ uno sconfitto della globalizzazione ma che resiste, denti stretti, nonostante tutto.
Oggi avevo bisogno di una lampadina ché quella della mia stanza da letto ha deciso a dispetto della sua ultra-hot-led-modernità, di morire molto prima del tempo(o perlomeno così avevo creduto).
Quando entro nella penombra negozio, Massimo parla al telefono, mi fa cenno di aspettare un minuto, mi sorride, è sudato, ma lo siamo tutti: “oggi fa un caldo boia!”, avrebbe detto fingendo sarcastica allegria e toscano entusiasmo, il signor Antonio, il tizio attempato entrato subito dopo di me.
Massimo parla, si interrompe, alza gli occhi al soffitto, ascolta, riparla, sorride in maniera imbarazzata e stanca, agita una mano vorticosamente, ad intervalli con frequenza costante, ogni circa cinque secondi, per poi mimare il gesto dell’orchite a piene mani, serrando la cornetta tra mento e spalla.
Sghignazzamento di noi spettatori… << Signora pigi pire quello che vuole, glie l’ho detto, il televisore non esplode, ma prima delle diciotto non posso venire…
… E allora vuole dire che sente solo la musica fino alle diciotto!
… Signora la prego… ( la tizia parla ininterrottamente… )
Massimo è oltre lo scoglionamento. Resiste, con noi sbraita e impreca a bassa voce, con la signora è gentile a tutto volume.
– Abbia pazienza, mi dice.
Una Signora, passa avanti al negozio e urla – CIAO MASSIMOOOHHH-
CIAO CARLAAHH. Risponde sorridendo anche con gli occhi questa volta e poi si rifionda nel limbo.
Io gli faccio cenno di non preoccuparsi, il signore dietro di me borbotta: Rincoglionita!
Riferendosi alla tizia al telefono e poi a me:
Lei che è giovane, può leggermi cosa è scritto su questo foglietto ché ho lasciato le lenti a casa?
Certo: due compresse al giorno, lontano dai pasti.
-Dio cane! Vabbè, ‘un morirò mia, la prima l’ho presa mentre mangiavo…
Tranquillo. Non morirà, lo rassicuro.
Ride e mima il gesto di toccarsi le palle, ma non lo fa, in fondo è un galantuomo.
Ridiamo.
Massimo nel frattempo ha chiuso il telefono, si asciuga il sudore e parla fra sé e sé, prende un appunto e poi con un sorriso da cane bastonato:
Mi scusi eh, ma è la terza volta che mi chiama stamattina, ha qualche problema a capire le cose per telefono. Comunque, cosa posso fare per lei?
Gli spiego che avrei bisogno di una lampadina a led abbastanza potente. Ne intravedo una sullo scaffale, 1500 lmn, la prendo, la pago, ringrazio saluto e vado via.
Vedi come si fa presto coi giovani, incalza Antonio, tanto per infierire un poco sulla signora di cui prima… – A una certa età si dovrebbe morire tutti senza rompere le palle a nessuno!
E indica la prescrizione medica come se fosse la colpevole della sua lunga durata.
Lo saluto con un sorriso ed un cenno della mano, esco, mi avvio verso casa, e ricordo che oggi Cinque Luglio duemiladiciotto, mia nonna compie novantaquattro anni. NOVANTAQUATTRO.
E che starà sicuramente cucinando qualcosa di buono dato che sono le tredici in punto.
Più tardi le farò gli auguri.
Arrivato a casa, nell’avvitare la lampadina nel portalampada, mi accorgo che c’è un filo staccato. Bestemmio gli dei perdigiorno in Cirillico stretto e vado a staccare la corrente.
Svito il portalampada, sistemo i fili, riavvito tutto, riattacco la corrente, rullo di tamburi:
Fiat Lux.
Il problema non era la lampadina. Funzionano tutte e due.
Adesso ho sette euro in meno, due lampadine e qualcosa da raccontare.
Questa è la letteratura? Oppure dovrei indagare più a fondo nei sentimenti?
Scavare nei personaggi. Intuire cose profonde dalle loro espressioni. Inventare.
Fingere. Sentire. Oppure si riduce tutto a passare il tempo, nella maniera più allegra possibile? Cosa significherà per me il Singor Antonio fra dieci anni? Sarò vivo tra dieci anni? E lui? Qualcuno leggerà mai fin qui? E se si perché? C’è vita nel nulliverso?
A questi e ad altri interrogativi non cercheremo di rispondere nelle prossime puntate.
Non è meravigliosa la gente? A me andrebbe anche bene così!

“Ma che caldo fa? ” Titolo telegiornalistico

Tagliato i capelli
taglio corto col pomeriggio
sfido la calura
all’ultima goccia
e vince inesorabilmente.
tre doccie e due camice
mutande zuppe
e sacchetti di ex plastica
che puzzano di olio
la strada è una piccola fornace
refrattari anche i muri
sembrano sputare fuoco
ai vu’ cumprà
che trascinano sacchi neri
come enormi anti babbonatale
dai denti d’avorio
come lenzuola antiche
io sbottono la camicia di uno
sento il rivolo scendere sulla caviglia
mi sono arreso anni fa
mi pare di averlo già detto
amo il mondo come non mai
la cinese del negozio
mi vede passare – lei
e mi dice che mi ha visto
l’altro giorno
mentre correvo
e mi sorride
come solo le donne sanno fare
che desideri di più?
Penso…
<<La gente ti vede e te lo dice>>
avere conferme d’esistenza
non è già una forma di amore?
Si schioda il pensiero dalla sedia
e va a perdersi su di un’ostrica
annaffiata da bianco ghiacciato-
Marina.
Ma eccolo, un altro rivolo
lungo il solco della schiena
che pare aprirsi alla vita
come una cerniera
mi vedo con la pelle divelta
abbracciare il vento nelle carni
fino alle ossa fino
agli organi roventi
che fumano il tempo
mentre cammino
con la spesa stretta in pugno
.

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