Gli dei fanno della vita la propria letteratura. La propria poesia.
E’ una roba contagiosa. Non c’è niente di straordinario in questo. Puoi incontrarli allo specchio nei giorni di buona e puoi anche chiedere loro, di grazia, che cosa avessero in serbo per te in quel dato momento. Scrivere? Cazzate.
– Quello che sto facendo. Quello che posso.
Risponderanno.
Ti sembrerà di non capire. Ti sembrerà poca cosa la tua vita. Andrai a comprare un libro un giorno vicino e lo chiamerai poesia perché sei ancora troppo fesso. Sei ancora deficiente. Non sei ancora pronto. Non puoi esserlo. Passerà altro tempo e poi forse… Sentirai la tua voce vibrare con la terra e il tuo corpo avrà la forma dell’acqua, l’odore del mosto. Chiamerai fratelli anche quelli che prima consideravi poeti. Ti verrà voglia di abbracciare un lampione e una signora sconosciuta nata nel tuo stesso giorno e lo farai con amore.
Una strana pace si farà largo nella mente e lo sguardo sarà più lento e profondo come un’ancora lanciata nelle tenebre.
Scricchiolerà il tempo come una fune troppo tesa. Qualcosa ti strapperà un sorriso senza troppo capire. Non ne avrai bisogno.
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