Dalla collana onirica inedita – Sogni e bi-sogni .
Ho abitato a Roma.
Stanotte ho sognato di abitare a Roma…
Una Roma fronte mare, in un palazzo molto antico, forse augusteo. (megalomanie)
il palazzo era composto da circa dieci piani, cinque sopra il livello della strada e altri cinque sotto.
Al piano più basso, appoggiata sulla parete più esposta alle intemperie, a terra, fronte foresta, fronte mare, c’era lamia stanza.
Allo stesso livello del mio umidiccio pianerottolo, vi era l’entrata di una grotta ben illuminata che però non mi ha destato perticolari attenzioni…
(lascio al lettore l’esplorazione… ndr.)
La mia camera era invasa dal guano e da nidi di rondini, le quali, allertate dalla mia presenza, dovevano essere fuggite in posti più tranquilli, più decorosi e anche meno decadenti.
Forse per scongiurare l’ altrimenti inevitabile artrosi alare, flagello dei rondoni più anzianotti.
In mezzo alla stanza, coperta da carta da parati sbiadita e acquerellata, spadroneggiava sul circondario, una macchina fotografica antica. Una di quelle con tanto di tendina e camera oscura.
Mi sono sempre piaciute, conservano intatto il mistero dell’ infilare il viso sotto una gonna svolazzante.
Ho visto la Luce!
Mi verrebbe da urlare ogni volta.
Nel mezzo del sogno, ho fatto una riflessione che ricordo nitidamente:
“ La fotografia, se pure parziale, monca di una dimensione, è l’unica verità che incontriamo perché è al di fuori dal tempo pur essendone l’essenza. Afferma l’esistenza per negazione. In negativo. “
“capisci quello che voglio dire?” ho borbottato ad un assistente con il mio stesso volto.
Abbiamo annuito entrambi con poca convinzione…
Dalla fessura nella porta fronte foresta, fronte mare, entrava una brezza sapida e legnosa, così come odorano certi vini cresciuti in riva al mare… Nel frattempo
una luce fredda, umida e pesante si faceva largo nella densità della stanza.
Il lampadario spennacchiato, lasciava intendere un passato di cristalli gloriosi, mentre, lungo la parete ovest, quella fronte mare, la più umida, da un lato, stretto in un angolo, un vecchio giradischi, ormai marcio, faceva da contrafforte ad una pila orizzontale di vinili con le copertine ormai illeggibili. Dall’altro lato, nell’ angolo destro, una pila verticale di libri ridotti ad una poltiglia sfilacciata di cellulosa ed inchiostro pareva una antico tronco di colonna.
Nel mezzo, una porta di legno mal rattoppata.
Ho avuto la lucida sensazione di essere capitato in una stanza della mia mente.
Le cose si deterioravano naturalmente, e più si avvicinavano alla fine, più crescevano in bellezza, all’infinito, senza mai finire.
In ogni caso, deluso dalla scarsa abitabilità della mia camera, mi sono infilato su per le scale del palazzo col fine di dirne quattro alla proprietaria. Nel mentre devo aver citato Dante, “ com’ è duro calle…”, ( lo faccio spesso durante risalite difficoltose), perché il mio assistente, quello col mio stesso viso, mi ha mandato perentoriamente a fanculo…
E così, con questa tenera auto-offesa mi sono svegliato ridacchiando. E’ il 2016, 20 Febbraio, realizzo di non avere alcun assistente, né di abitare fronte foresta, fronte mare. O forse sì?
Bah! Buongiorno! Nemmeno un’anima pia a portarmi un caffè. Che decadenza! Che volgarità!
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