La mia vita sentimentale assomiglia sempre più ad un bicchiere di birra sudato, ad una poesia dadaista, a certi aborti clandestini, a certi fiori nati e appassiti fuori stagione senza che nessuno se ne sia mai accorto. Comincio a dubitare di essere davvero me stesso, dubito della mia esistenza fisica. Comincio a vedermi come una entità spettrale: un ectoplasma che attraversa la materia senza lasciare traccia di sé, al netto di qualche ricordo nato già sbiadito. Se davvero sono stato io, sono stato un altro a cui adesso non so più parlare. Quale consolazione: il sole, la strada e l’animale. Sudare per i monti come un randagio, andare imbestiato dalla grazia, dalla fame di bellezza, dalla sete, dalla vertigine di un uomo che per non saper trovare posto sulla terra imita la danza dell’universo. Sono caduto spesso. Cado. Attraverso la folla come uno sconosciuto. Estendo i pensieri fino a non pensare. Vado cadendo come ubriaco da una carezza all’altra e quella voce di un poeta russo che ritorna al cuore come un’aritmia mi dice:
provo ad amare: eppur questo non basta…
Provo ad andare: eppur questo non basta…
Allora dico: io amo. Io vado.
E tutto si fa luminoso
Ma anche la luce cede il passo alla tenebra
Ma anche la tenebra ha nostalgia della luce
Fraternizzo con l’ombra e mi innamoro del sole.
Lo stesso amore che fa cantare di notte
Quando tutti quanti dormono il sonno dei giusti
Ed io sento nella notte una nota sbagliata
E me ne innamoro come un ragazzino
Disperatamente per tutto il tempo non necessario
Mi innamoro come amo le cose rotte
Al pari del sole e di certi occhi
Dell’aria di casa e di una sconosciuta
Dei fiori morti e dei vivi
Senza compromessi
Tra il dentro e il fuori
Ho preferito l’ altrove
Che poi vuol dire tutto:
Tranne me.
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