Dice…
l’estate ti abbraccia
Con punture di grano
Pizzichi di ortiche e cardi
Animali a sangue freddo
Che diventano toreri
Come per tauromaGia
Le valli spruzzano vapore al mattino
Alle prime luci
Gli uccelli e le cicale
Cantano qualcosa
Ai grilli come a dire: Bentrovato
Tutto è così breve
Prima correvo per i campi
e salutavo le persone
Con la mano alzata
E questi rispondevano
e mi vedevano
Ed io vedevo loro
E ci sorridevamo come cavalli
E questo mi rallegra
– É una delle cose
che piú amo della vita.
L’altra sera ho visto la luna
Tramontare dietro Fontana Longa
Accade molto spesso
Ma fa sempre un certo effetto
Poi ho visto Marte e Saturno
Ma niente di Plutone.
Cosa voglio dire? Niente
Ero con una ragazza
Litighiamo spesso
Così ci piace.
Spesso ci diciamo :
Che bel cielo!
Voglio dire: la vita è fatta di attimi
Adesso la luna, adesso Marte
Ogni tanto una cometa
L’importante è esserci
tutto è cosí meraviglioso
Anche la morte o la
Terrificante malattia
Che spezza i sentimenti
E sedimenta il cuore.
Penso spesso
A chi è scomparso mentre corro
Ogni tanto piango col sorriso
É tutto così acceso
E vivido che sembra
Quasi eterno quasi vero
Quasi una poesia
Paesi
Le persone sono come persone
Aprono la bocca e le braccia
E ti chiedono chi sei
Da dove vieni
A chi appartieni.
Quale stirpe generò il tuo argomentare
Ti incastrano in una nicchia ancora vuota
Del cimitero dei ricordi.
Ti archiviano con un sorriso e
Ti pagano il caffè e
Intravedono, i vecchi-
Quella storia che non ti hanno raccontato
Scritta con il sangue in mezzo ai lineamenti
Si ricordano tuo nonno
Che una volta accompagnò loro padre ubriaco
Oppure che una volta in mezzo ad una vigna
Si tolse gli stivali per regalarli a un passante
O quella volta che sollevò da terra
Un tale traffichino dalla mano troppo lesta…
I paesi sono famiglie in cui si litiga in continuazione
Ma c’è un amore latente tra la gente
Che poi diventa nostalgia generazionale
Talvolta paroloni, bevute memorabili
Racconti di epopee dimenticate
Amplessi tra nipoti, scoperte-cose-tardi
Cose che non riconoscevi-
nei paesi esistono più spesso
Giornate che sono come nudi stesi al sole
dove ogni piega della pelle
È una generazione
e i corpi illuminati cantano alla storia
Un pezzo di universo
Così grande se lo ascolti
Eppure infinitesimo
come il passo di un secondo, un palpito di cazzo, il bagliore di uno specchio sulla montagna che scompare appena gira il polso, l’ombra di un granello tra granelli.
L’uomo è ossessionato dalla misurazione
Delle cose che sono già altre cose:
Adesso un gatto miagola feroce sotto la finestra per la prima ed ultima volta:
Tutto è irripetibile e questo mi rallegra
Come un ragazzino avanti ad una giostra.
la città è culla del sapere
la città è culla del sapere
datemi una libreria con libri mai visti.
senza lettura l’uomo è novizio
avanti alla luna
perde capelli, forza e parola
ed il tempo pensato scorre più solo.
adesso non hai che la natura
da leggere al buio
e il ricordo di una voce
che ruppe montagne
dimmi, non era un amore?
forse una finestra dove scopare
sul sagrato? Spargere il seme
sulle pietre del tempo
non è che una resa?
dammi una poesia che tolga la sete
che faccia dormire anche le pulci
quando la notte monta
le burrasche chiodine –
Dai, una libreria di fratelli maggiori
con voci più ferme
più spinte e profonde
del mio frescheggiare
dove una cosa è anche una cosa
e poi l’universo e il profumo del giorno
mischiato col vino.
Spingere o Aspettare
Una casa
Quattro mura
Ipotetiche come un’idea
Poi esci
Vai a lavorare: vai
Ad apportare il contributo
Vai ad assemblare
Il tozzo di pane e poi
Rientri nella stessa casa
Con le stesse mura
ma eterozigote
Qualcosa qui è cambiato
:Ti dici sottovoce
Confermi l’idiozia
Nell’idea di uno Stato
Vorresti una Repubblica
Fondata sull’amore
E questa sì ch’è un’Utopia
- ridacchia comodino
Che ha retto tomi
Di maleducatissima letteratura
. Fuori il sole è gentile
Un computer aspetta sulla scrivania
Che la nuova idea ci porti un po’ di pace
Ma chi ci porterà la nuova idea?
Forse il vento ma
Di certo non il convento!
Vorremmo non ridicolizzare
Un’idea d’amore almeno mezza volta:
Ridacchia adesso anche la finestra. Punto.
Solo stando solo
in un ufficio in costruzione
Potevano arrivare pensieri
Come questi. O forse no.
Forse è un’altra storia.
La montagna si è fatta grimaldello
Fa fronte sopra il cielo basso
Si vuole qualche cosa
Che non so raccontare
Si duole di un malgrado
Sempre in divenire
:Spingere o aspettare…
di cos’è che hai bisogno?
Esci da un ospedale
O da un pomeriggio
Entri in una canzone sempreverde
Con Qualcuno che dice che è dura
Tirare avanti dopo la clausura
Qualcun altro che ti ha fatto complimenti
Per quello che scrivi
Per quello che dici
Che poi è quello che sei
E vorresti abbracciare tutti
Come a dire: siamo vivi
E riempire un discorso
Con dell’allegria
Senza forzature
E parlare di tragedie
Inenarrabili come la morte
Praticando l’ottimismo
Dividendo mezza birra
E poi parlare di politica
Senza nominare i conosciuti
Che per me sarebbe:
Aiutiamoci tutti
Nessuno escluso
Partendo dai più deboli
E domandarsi ogni giorno
Chi è più debole di me? E
Dimenticare il proprio nome
Come una necessità e
Poi senti a un tavolino snocciolare
Poltronese spicciolo e
Fare la conta dei seggi
E dei giorni che mancano
A fantomatiche elezioni
Cose di uomini e di donne
Con la paura di sparire
Incisa con lo sguardo
In ogni sentimento.
Che scoramento e che sconforto
Se ascolto dall’alto delle quattro ore di sonno
Spese a far le fusa con la notte
Dove tutto era una carezza
Una lunga poesia di qualcun altro
Scritta in un momento come questo
Dove l’epoca si tinge di epopea
E la morale muore
Seppellita sottoterra.
Ma dimmi, di cos’è che hai bisogno?
E perché di una carezza?
Di un albero turchese
E di giorni ancora freschi
Dove addormentarsi
Senza più pensieri
Al fianco di qualcuno
Che ti parla senza dire
QUALCOSA DA CUI PRENDERE MA ANCHE UN’ ALTRA COSA
certo un albero non fa primavera
ma forse neanche mezzo autunno, mentre
due alberi se si impegnano molto
nel modo di alberare
potrebbero pur sfilare la coda dal lupo
e farne spolverino o due ore di sonno perduto
oppure il rumore di un fiume prosciugato
qualche era prima che accadesse…
dici che il tempo è quel che è
dici di essere questo o quella cosa
dai tratti ben definiti – come una lucertola
che ha appena rotto una matita
per aver dimenticato gli angoli del fiore –
mi pare fosse giallo o volevo dire azzurro, dico:
chi ci salverà dalla sindrome della biro?
questa malinconia dello scrivere davvero?
poi dici una cosa che non rinneghi mai
e chiami coerenza ciò che non è stato
e affermi sfaccendato di vivere rampando e
di non inventare alcunché che sia pensato – cose da pazzi.
arrivi persino a scrivere sciocchezze
che diremo: frasi di senso compiuto!
poi cerchi la salvezza nella verticale senza ami
e il cielo che pareva un aliscafo
schizzava qualche nuvola sul viso di qualcuno
che un giorno predispose una giravolta sul fornello
a cui avrebbe dato fuoco una di quelle mattine
che non arriveranno prima di domani o forse prima per il semplice disgusto dell’esistere
come controsenso –
forse salveremo il penultimo caffè
dall’alba e dal buongiorno
e ne faremo un fuoco, un albero da fresco
qualcosa da cui prendere
senza domandare.