meglio al cimitero

Si sta meglio al cimitero

Avanti al cancello del cimitero
Dove le prime tombe sono quelle dei miei bisnonni
Ho in contrato un uomo con i baffi
Dall’aria mesta un poco bastonata
Ci salutiamo, ci annusiamo, ci presentiamo.
Io riprendo fiato e bevo acqua
Dopo una corsa sofferta piú del necessario
E poi mi chiede se dovessi salire in paese
Ché gli servirebbe un passaggio
Dice di vivere a Milano e che non ama i bar
Né le carte e che beve due litri di vino al giorno Ma il medico glie lo ha vietato
E che ieri ha fatto le quattro del mattino
E che qui in paese non ha piú parenti
E che avrebbe voglia di una birra fresca
Poi mi fa un paio di domande
Ed io gli rispondo con sincerità
E gli dico cose che già sa da molto prima di me
Ma che comunque gli danno conforto
Almeno cosí sembra.
Parcheggio davantinal bar
grondo ancora sudore – lui si è un poco rallegrato
Scendiamo e gli chiedo di smezzarci una Nastro
e lui acconsente a malincuore
* Cosí non si riscalda, incalzo.
Hai ragione, dice.
“addò vaije” “dove va’, va’.” (la salute)
Brindiamo. Poi non diciamo niente.
Solo il chiacchiericcio e la birra nel bicchiere
Che si svuota delicatamente
Guardiamo la strada, il paninaro che prepara la griglia, il sole che sta per tramontare, un passeggino con due bimbi che gicano
Antonio che sta sparanzato sulla panchina
Con almeno quattro giubbini
Due ragazzine che prendono accordi per un appuntamento e poi sempre il resto della collina con i campanili di pietra e le case vuote e i platani che stanno là da prima che nascessi.
Poi rompe il silenzio per dirmi grazie.
Rispondo che è stato un piacere
E che ci vedremo in giro
E poi si avvicina ridendo per dirmi a bassa voce: si stava meglio al cimitero!
Rido e annuisco. Poso il bicchiere vuoto sul bancone. E torno a casa, canticchiando…

Io sono la mia terra

io sono la mia terra
la valle accogliente
dove sibila il fiume
la montagna più aspra
che si è fatta collina
il campo abbandonato
che ha ingoiato l’aratro

io sono la mia terra
mi guardo allo specchio
e vedo alberi _ fiumi
Cose che aspettano
Partenze e ritorni
Mani da stringere
Occhi che vedono storie
di nostalgie antiche

E cose che partono
E sempre ritornano.

Cose lasciate per strada

Certo che non puoi scrivere
Della tempresta durante la tempesta
Certo che sei chiuso in una stanza
Con le pareti di pelle
A leggere Petrolio
Certo che il mattone di terra rossa
Non dura nel monsone
Il gorgo ritorna a fare vistita e
Porta pacchi di caffè _ zucchero _ pacchidipasta
Il cielo pende dal terrazzo E viceversa
Me ne sto all’ombra come un vecchio sipario
Impolverato – chi suonerà per me stasera?
Ci sono giorni in cui non c’è allegria
E la vita è tutta marrone
La gente pungola senza volerlo
Anche con la tenerezza o con l’amore
E la strada è troppo scoscesa
O troppo piana o troppo qualcosa
C’è chi si rifugia tra le rocce
Dove il calore del fuoco vuole dire salvezza
La voce amica qualcosa di umano
In un deserto di silicio e scarpe rotte
E cose lasciate brillare per strada

Dindong

DinDong!

Io nelle foto: ovvero:
Scrivere stronzate con la luce
Senza nemmeno essere divertente.
È una malattina del nostro tempo.
Certo, soffro di qualcosa
Ma non di giudizio universale.
Poi metto a frutto il venticello
E la pioggerellina e la tenda di seta verde
Tutte cose che fanno male al sentimento
Almeno cosí pare
Allora piango nel sogno
Di un amico scomparso
O forse era la birra. Forse ero sveglio
Forse piangevo davvero seduto avanti al bar
Non che faccia differenza
Non ricordo bene Signor giudice del tempo
Mi perdoni l’ Astro Azzurro
E poi vado via da qualcuno e qualcosa
Ma non so esattamente come né dove
E certo che vorrei restare
Ma vado. Via. Come una stella fissa
Che non c’è mai stata fino all’arrivo di Hubble
Scompaio quindi per un difetto di tecnologia
Scompaio dai radar e
Resta il mio nome come un alone
Di fosfori verdi per il tempo di due bip
Nella bocca di qualcuno
E mi metto a scrivere poesie
Che poi vuol dire resto solo
E poi il tempo si fa brutto e
Qui, racconta la canzone,
mi hanno già dimenticato
E le campagne smettono di urlare per un poco
E questa tristezza che mi incattivisce
Come un gatto al guinzaglio di un estraneo
mi fa pensare alla pensilina e alla pioggia
Al tram e a un amore ballerina
A De Gregori che scrive di Pavese
A Pavese che perdona tutti
e cambia dimensione
A me che scrivo talmente di chiunque
Che potrei essere anche io
l’oggetto del racconto
Che non amo essere fotografato
Ché non mi trovo interessante
Che non ho voglia piú di giochi di parole
E nemmeno di parlare o scrivere
Allora esco come una parola
Che si fa mattina
per eludere le frasi della notte
E divento gente sulla carta
E sangue nella carne
Porto Gratitudine a pisciare per le strade
Come fosse un cane mio compagno
Di cui mai sentirai parlare
Dopo questa volta
Fermi avanti ad una chiesa
È persa anche la gara
A chi ce l’ha piú lungo
Il campanile.
Dong!

Certo

Così la montagna
Segna il passo
Al rovescio
Certo il cammino
Idolatrato
Certo il ricorso furioso
Alla tenerezza
Certo il giungere
Sopra di un filo acceso
Oppure pungere
Il destino
Come una radice
E spingere la terra
verso Il cielo
Certo è lo scorrere
Come un rivolo di pianto
Senza ombra di verso
in direzione dell’azzurra quiete
– dimenticanza
È perdersi nell’inghippo
Termodinamico
Come una pietra –
Conservo il ricordo
Di un’altra vita andata deserta
Io che non so più parlare
La lingua del presente
Certo – qualcosa è qui
E Insiste sempre il pensiero
Fuori dal verbo.

Qualcosa che non quadra

Questo è il pensiero politico elaborato dentro un qualsiasi bar di città tipicamente invisibile come un non luogo qualsiasi _ una non scrivania fatta con legno di incomprensibile noia_ e che genera la tipical inutility buona ad alimentare il mostro che l’altra sera ha bussarlto alla mia porta chiedendomi un -PIN puck bam- qualsiasi e al quale però con un moto di lucida luccicanza ho risposto: picche! – ma anche – Immigrato – vergognoso povero – ma anche fiori e cuori e perplessi animaletti ma invece quadri No. Ché non so dipingere. Stranamente io che so e posso tutto ciò che non comprendo per manifesti e repubblichi limiti e tarature. Strano, vero, ma quadri, no.

E sia

Certe volte si piange
Quando si tiene un libro in mano.
Aspettative. Forse disillusioni.
Forse salvezza. Gioco d’azzardo
La vita ci soffia in faccia il sole
Cerchiamo l’ombra
La vita ci spezza il fianco
Ne abbiamo un altro.
Certe volte arrivano intuizioni
Dalle cose che paiono insignificanti
Tipo una carta che rotola fino a bagnarsi
In un a pozza di sentimento e se
Calpestata – si strappa. È solo carta.
Sembriamo allineati nell’ombra sottile del mezzogiorno – esecuzioni
Spalle al muro. Pronti agli spari
Tutti aspettiamo qualcosa.
Il vento è fresco come una primavera
Non ho parlato con nessuno
Mi sono limitato a dispensare sorrisi
Ho pensato alle trame di quattro buone opere
Me le sono godute e già dimenticate
Deve essere questa la ricchezza, ho pensato.
Quando gli ultimi spiccioli se li è inculati
Il distributore automatico di bibite.
Combatteremo a bocca impastata.
E sia…

AnNapoli

Ogni volta che sono a Napoli
Non so dire se sto davvero bene
Ma poi ci sono queste ragazze
Così belle vestite di rosso
A cui chiedere informazioni
Riguardo tutti i treni
Che ho perduto allegramente
E il ricordo di un pianoforte
Al centro della stazione
E questa gente
E questi odori
E queste radici
Da cui sempre
iniziano parole
E i gesti E le musiche
E quel gorgo che Si scioglie
Sul fondo delle cose
Come un battesimo
O una estrema unzione
Ma cosa importa?
Io comunque sempre
ritardo la partenza
E che piacere
Pensare queste cose
In mezzo alla stazione
sfogliatelle in mano
Ho ancora un’altra ora
Ho ancora un’altra ora
Ancora un’altra ora…

Tre mesi di paese

Tre mesi di paese
E il pensiero torna contadino
Parlo al tralcio e all’orchidea
In tasca olio nero di stazione
E la parola si sfalda
Come un marciapiede di selce
Vissuto all’ addiaccio

La lingua delle madri
Ritorna alla fatica
Impastata dalla polvere
La parola si distanzia
Come una valle

È più duro il silenzio
Sulla vetta dei monti
Nasce qualcosa
come un ago al sole

E anche i ricordi
Spogliati i sentimenti
Cantano al sole
Come una pietra
Di un qualsiasi fiume

Passaggi

C’è una finestra
Nel cantuccio all’ombra
Poco male – presso
Il quadrivio Della vita
Là vicino nei dintorni
Che ha smesso di farsi
Gli affari degli altri
Per abbandono
Già da un pezzo.
Adesso è chiusa
E se la guardo
Nasce  un filo di mistero
dentro il giorno –
Adesso è aperta
E si sente
Come un verso
Di legname
Cotto al sole
Nel guardare.
Forse è l’anima mia
Che s’avvelena
Suggerisce l’avventore
Forse è un mucchio
Di ciarpame
Incalza l’avvoltoio
Forse è solo troppa birra
Suggerisce la coscienza.
Mentre strappo pensierato
un biglietto della metropolitana di Ferliddia
Come fosse una cambiale
Intorno stridono di sole
I lastricati lucidati a piedi
Dove la falce che scandiva il tempo?
Dove la carezza che leniva il cuoio?
Dove l’odore dell’uva vendemmiata?
Non più qui! Non più qui!
Risponde la ventana
Un po’ più là
Il ricordo di un pensiero amato
Fa mulinello con la polvere
Passaggi.
E questo è tutto.

Verde

Guardo la lucertola
Come una lampadina
Verde vivida di sole
Arriva persino luce
Dentro il vuoto siderale
Dove suona il racconto
di una mano amata
Che fa razzìe di note
Verdi – come fili d’erba
Ciò che ho creduto di sapere
Si è sciolto come neve
Sul ceppo caldo del boia
Chiedo scusa al cielo
Per lo spazio che ho rubato
Chiedo grazie ai fiori
Come fossi una falena
Amnestia agli uccelli
La mano è tesa
alla formica rossa
Al silenzio invece
Tiro un sasso spento
dritto al cuore.

Le vite degli altri

Le vite degli altri.

Dice, sai le vite…
Quali vite?
Le vite degli altri
In cui entri per tre secondi
Passando la bustina di zucchero di canna
Al bancone di un bar qualsiasi
In un posto qualsiasi.
Embé?
Dico, là, hai due possibilità
puoi sorridere ed essere gentile
o farti sopraffare
Dalla soppraffazioine della vita
Ed essere scortese e tignoso
Alle sette del mattino.
Qusto fa la differenza sul futuro delle vostre vite, ma lo capirai dopo diverso tempo
Oppure pui conoscere una ragazza un giorno
Ad un tavolino sempre di un bar
sorseggiando del tè nero Per esempio –
e guardarla negli occhi con insistenza –
quasi a piegare i pensieri
E ad infilarglieli nel cervello
Come un tormentone estivo degli anni 90
Del tipo: “mare mare mare ma che voglia di arrivare”; hai presente?
E poi succede che dagli occhi arrivi al cuore
E quindi al culo e alle mani e alle labbra
E non è facile ma può anche succedere
Che parliate di amore un giorno
Senza capire un cazzo di niente
Come due fessi qualsiasi
Mentre magari lei ha il tuo pisello in bocca
O sei tu tra le sue gambe e sussurri qualcosa tipo: ti amo
ma non sono necessarie proprio le parole. Non sempre. Dipende dalle situazioni.
E comunque entri in questa vita,
dico, e lei nella tua
E si cerca a strattoni questo nuovo equilibrio e tu sai che il caffè lo prende amaro e lei sa che a te per esempio piace la pizza col salame piccante
e allora c’è qualcosa nell’aria anche durante le litogate furibonde con la vita
Ché spesso si litiga per ribellarsi a questo sistema del cazzo
Che ci ruba il tempo per fare niente o l’amore
Dico, c’è qualcosa che diciamo sentimento credo
che ci tiene uniti come una squadra di Curling, e ci diamo da fare con gli scopini
Come fosse l’ultima partita del secolo
E forse lo sarà. Occhio. Giocatela bene, come puoi. Senza paura di scivolre. Scivolerai.
Ma andrai avanti fino a quando vorrete
Oppure accade che ci scanniamo come aguzzini – come arrotini di palotini.
E ci facciamo del male fatto bene
Ma poi ci diciamo che passa, ed è vero
e si ritorna a ordinare pizze e a incrociare caffé e telefonate e scopate e sudate e cose che avremmovolutofaremacheinvece…
E poi un giorno, magari mentre attraversate dei periodi di merda –
Succede qualcosa. Cambia lo scenario.
Diventiamo estranei. Il tuo cazzo è un pezzo d’arredo, mi segui? Immaginalo come un peluches impolverato
ed il suo culo un ricordo di qualcosa che hai amato follemente sulla spiaggia di chissàquantoprimafà.
Dico. Può succedere no?
Allora poi ci si separa e parte qualche vaffanculo terra-aria che manco gli SCUD
e qualcuno ferisce qualcuno e viceversa
che è uguale
e si sta un po’ male
Ma alla fine l’importante è la salute e il volersi bene, vi direte a bocce ferme.
Magari a telefono. Più ferme di così!
Stai pensando alle sue bocce, lo so. Sei un uomo medio come me.
E quindi succede che ti vuoi bene ma non ti consideri più. E vai in cerca di conforto e di qualcosa da bere che dia una scossa alle budella un poco intorcinate e cominci a farti quelle domande esistenziali che significano
Che stai attraversando un periodo marrone
Ma infondo pensi che la vita è carina
Ché c’è tanto da fare o da non fare
E che anche una partita di calcio
O una corsa in montagna o un buon libro o un cane oppure nessuno e dici che
Basta il silenzio di una porta socchiusa
La penombra dell’estate ed una tenda verde
Col vociare in dialetto e le bestemmie
Che sotto al balcone fanno le veci del mare
Quando è un poco incazzato. Questo rassicura.
Dico, capisci? Che cosa diventiamo se non dei mostri che trasformano i sentimenti in balconi socchiusi o in parole oppure in opere mozze e omissioni spaziali?
Cosa voglio dire? Non lo so mica.
Passami un bicchiere con qualcosa di fresco
Si sta così bene all’ombra quando il sole che incendia i pensieri va sotto l’orizzonte degli eventi sconosciuti e la sera annuncia la fine
Illusoria di qualcosa. E puoi dire con poca convinzione: ahh anche questa giornata
È stata archiviata. Avanti il prossimo!
Bicchiere? E cos’altro?

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