Arvo Paart
te lo dissi quella sera
nello scenario adatto
A Roma, avanti al Colosseo
dopo averti intimato di coprirti bene
ché là dentro
c’erano assai spifferi, subito
dopo averti strappato un sorriso
nell’ansia ingiustificata
del diventare qualcuno
ma tu eri predestinata
col tuo caratteraccio
a fare grandi cose
te lo dissi al tardo pomeriggio
al rosso del tramonto
di quel rosso che si incontra
in certe sdruciole e inutili poesie d’amore
molto vicine a questa che sto scrivendo adesso
io ti dissi, guardandoti negli occhi
i tuoi larghissimi occhi, gli stessi
che ho temuto più di ogni altro dio
laico a piacere
lo mi ricordo come se fosse ieri
<< smettila, per favore,
di tirare la corda all’infinito,
ché al mio sentimento
pare di abitare le più desolate
dilatate, sacre, monotòne
lande musicali di Arvo Paart>>
Non capisti, lo ignoravi ai tempi
Avrei voluto baciarti
appoggiata al muro millenario
così che avresti potuto notare
l’assenza di differenza
tra me e lui
ché anche io stavo diventando
un monumento
e che solo tu potevi vedere
quella bellezza secolare
che si faceva beffe
del tempo degli umani.
Immaginai un “te deum”
sgorgare all’improvviso
dai tuoi occhi
intonai una marcia funebre
col cuore, forse per la fretta
o per l’ansia, ma sbagliai forse
a pigiare qualche parola
e tutto da allora cominciò
a dilatarsi, così
Intuimmo anche noi l’esistenza
delle onde gravitazionali
Come fu per zio Albert,
Probabilmente nello sculettare della moglie
ma la notizia mi sembrò
poco rilevante in quel momento…
Stavo affogando in un mare
di sentimento
suonato da Arvo Paart
attraverso i tuoi larghissimi occhi
un salvagente sgonfio
diventò la tua mano
all’improvviso
e allora capii
nei tuoi larghi larghissimi occhi
una musica sacra
intorno, nel mare dei tre accordi minori
tu perdesti l’amore e
io il desiderio di improvvisare
e Arvo Paart divenne una intuizione brillante
seppure semplice, definita, trasparente
crudele come il cristallo che risuona a lungo
prima di frantumarsi