Scritto che vorrebbe essere poesia ma che invece è fantasia
di una finestra portavia che sbuffa calda come la marmitta della polizia da cui interrogo la tegola che di mestiere regge il cielo con tutti i tiramenti che di pressioni ne ha subite in vongole atmosfere;
e questa, tu, diplomatica virossi senza una risposta!
Aqquale domanda? quale curiosità? Quale supplica o estro curiosaggio estivo? ti mi chiederebbi.
Niente personale. Solo un quèsito domando incuriosito:
Quante cagate di piccione sopportasti durante la migrazione dei pigeòni l’anno che le locuste sficcicavano i sederi delle civette cinerine? uno
E come può una terracotta reggere da sola una colonna di cielo
e rimanere umile come un laterizio sempre ai margini
dell’immaginazione e che mai rifulcra i ragionamenti alto-architettati?
Due mute fucilate.
Sora tegola, figlia di famiglia, colonna potenziale di tutto l’universo sconosciuto,
più ti vedo e più ringiovinisco fuori dalla calotta normovilipesa cranica dove tutto è definito, ma qui, dentro dove io e te siamo ( o forse ci sbagliamo) come due sorelli eterozigoti, ed ogni tua cagata sopportata sopra il ruvidone, sorda come neve preimballata,
dentro di me, risuona il fatto come una coltellata.
E di questa brezza fine che non ci porta mare,
ma sabbia nuda e vetri di poiane, ne spartisco il fresco, l’attimo sorpreso, il pensiero fuoritesto, il m’è dolce crepitare.
Rispondi