La poesia che non significa

la poesia che non significa
prende corpo per cosìddire
come una canzone che dice
e non significherebbe
ma che alle 22 29 invece dice:
c’è una musica del duecento
che trapassa il timpano
e si appella come angeli arrapati
come un coro di demoni salvifici
come lavandare del Vomero e
questa vibra che prende
sostanza dentro al seno
parla di fazzoletti e numeri.
di fazzoletti! dico: -22 57-
e come numeri e fazzoletti
metafisici trapassano il cuore
come un’autostrada deserta
come un righello da trapasso
come un verbo che accarezza i sentimenti
e poi ci lascia sgambeverso
e va a svuotare
la vescica dentro un vicolo
e dentro al vicolo quindi
senza una ragione
senza nemmeno esistere
nasce una poesia
che non vuol dire nulla
e non significa qualcosa
eppure… eppure…

Ma Sì

in quei giorni le giornate
al lavoro trascorrevano
guardando video di gente
che costruiva rifugi nei boschi
la terra mi pareva sempre più marrone
e le foglie più verdi il tempo scorreva
su quella riga rossa che puoi spostare a piacimento
ti andava di riguardare la parte dove si cucinava
uno gnu al cartoccio ripassato nel burro di roccia viva?
nessun problema. Un colpetto col dito ed il gioco era fatto.
fuori in piazza Longari Battistelli il panettiere panificava come da rullino di marcia, sapeste che conforto lo sbattere delle teglie sul piano di marmo bianco!
Se dovessi attribuire un suono soltanto alla vita, oggi sarebbe quello. La teglia rovente che sbatte e sfrega e sfarina sul marmo. Penso al profumo della focaccia appena munta dal forno e la salivazione aumenta del 57 % senza nemmeno pensare ad una tetta.
Un vero miracolo dell’esistenza.
Chissà cosa avrebbe detto l’amico norvegese del video, al mio posto.
Sarebbe mai stato al mio posto? Verrebbe voglia di andare nei boschi a cercarlo
anche soltanto per fargli qualche domanda.
Scrivo senza il supporto tecnologico degli occhiali
ed anche i suoni li immagino un poco ovattati. adesso. mentre i comignoli
si spogliano della fuliggine per l’arrivo delle buona stagione e
la vita si impolvera di quella polvere antica, impossibile da evitare.
si infiltra negli spazi interdentali fino a prendere il posto della placca
del tartaro
perfino dell’osso e del cemento. avessi dell’acciaio nel culo, anche quello sarebbe soppiantato dalla polvere.
Così il sapore si fa sempre un poco bitter mentre il tempo curva
come una prostituta a fine turno
e le campane suonano le 17 15 di una giornata che pare un solco
nella foresta pluviale prima del monsone. come la vita del resto.
…e lo schermo mi chiede, sulla riga rossa, se voglio RePlaiare non fa sorridere anche voi? no? che faccio clicco?

Ma sì, ma vaffanculo vai.

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