il torrente indisturbato
abbraccia la terra divelta con
occhi di curve strette e frappose
la primavera tanto cantata
si è spenta nei soliti odori
rose frattali passite con vecchio
una codifica scende dal cielo
come un graticcio di fango e
polveri di punti e asterischi
polveri di pixel e di merda
polveri di polveri morte
il pensiero è fresco
come una puntarella salata
scrocchiano tra i denti le ossa
fioriscono di ratei bollette e
dentro il portone caduto
fa primavera il piccione-
Da dove venivEno?
Camminano i nervi scoperti
Camminano. Cammminano
Come garzoni con i vassoi
Che sudano caffè molto ristretti
Strade come rampe di lancio
Come tubi e siluri – come a dire
Cose dense di significanti
Ma senza parlare o muoversi o alludere a.
Come cose posate in un angolo
Come un angolo posato in un angolo
Come posate dimenticate in Angòla
Come lingue di cenere e asterischi
Che si capiscono solo tra loro
E forse si incazzano. Forse si amano
Forse digeriscono il mattino
Come una foglia verde e lucente
Resta un’ idea. Quqlcosa è nascosto
Il molto è taciuto. Tutto è scuro e luminoso
E ha gambe di lettere mai viste.
Terribilmente attraenti come
Una morte supermassiccia come la metafora della fica e della vita e della caducità interrotta
ma comunque a prescindere dagli occhi
Piú o meno colorati. C’è qualcosa
Che preme sui piedi come un fermento
Che frizza nell’aria. Che significa poco
Ma fa scrivere cose, incontrare persone
Che non si conosceranno mai e forse
Inesistono e pure si incontrano
Come due mosche che si lavano il viso
Dallo sporco del tempo e poi vanno
Dove erano sempre state c
Ma con piú stile o amore o consistenza
Ma senza esistere. E. Questo è un mistero.
E. Pergiunta carino.
Ma che vuoi?
Qualcosa sulla guerra
e sul pane e sugli uomini
e sulle candele e su tutto ciò che
per fortuna ancora non conosci
come un passo dentro un lavandino pieno di mestizia
scrivi come un ricordo di feriti in Africa
Albania Grecia di piroscafi affondati
come i nonni che bevono flussi di incoscienza
o I prozii morti o dispersi
o famiglie divise da oceani
o come certi scritti di pelle lasca
di Malaparte di cose che si arrangiano
di cose che sono persone
che hanno tutte le stesse facce
gli stessi fratelli o madri o ciabatte
gli stessi pensieri o occhi o fette di culocambiali
scrivi di quello che non sai – mi dico
ma senza scrivere veramente
o alludere a…
scrivi come per sentire il suono
o l’odore
delle dita profumare
di igienizzante
di tastiera sterile. Calda. Comoda retroilluminata
frontespizio tecnologique. Scrivi della vergogna
che conosci bene
del peccato originale
del fatto che sei – chissà che voglio dire- qui per caso
comodo come un pompino seduto
sulla poltrona del tempo
mentre il resto è sconosciuto
come una colpa acuta. Come una ignoranza
scrivi di niente scrivi di dolori simulati
della noia dell’inazione del giubbotto di piume calde
della donna che ti guardava poco fa come fossi una mela matura
della strada senza buchi dei sedili di pelle
delle bollette pagate e dell’incertezza del lavoro
scrivi di ciò che non conosci
che poi significa scrivi di qualsiasi cosa
ma senza retorica o buoni sentimenti o sentimenti
scrivi come una cazzo di raffica di vento o di piombo
che parte senza un vero motivo valido
scrivi – ma nemmeno di lacrime e di empatia
scrivi che sei morto da una vita
scrivi che il sapore della polvere da sparo
a dieci anni la ricordi come uno scugnizzo settepuntozero
come un brigante con gli scarponcini nuovi e le palle in goretex
scrivi per ingannare il tempo e te stesso
come se avesse un senso farlo
o vivere o impegnarsi per o una sega
o per una morte a credito o la vita in cash
o qualche altra cosa che ti passa per le mani o la testa
o per i colori per Celine per Qualche altro cane sciolto
o per le montagne o per qualcosa che non sai ancora descrivere
con le parole e senza le parole e senza lingua fra i denti
senza schiocchi di dita
scrivi perché le dita vanno veloci come un ditalino
come uno scoiattolo da competizione
su questa cosa scivolosa che si chiama sera
la prima sera della vita la prima volta che
è venerdì quattrofebbraioduemilaventidue
e che non vuol dire niente. Davvero dico. Niente
come una bagliore prima del prossimo
che forse arriva o forse no
di questo niente che si fa spazio in altro niente
che smuove le dita come una fica
e le vecchia storia della pariglia di buoi
l’ho già detto? Forse sì, ma che voi?
Io non lo so.
Che ne so….
La poesia è la vita
Quando non sei distratto
Da facezie inezie sterlizie
Quando il sole non è
E sei tu. Il Sole
A non conoscere alcunché
E non ne sei turbato
Ossessionato spaventato e
Anche la morte regala il sorriso
Et ciò che chiami corpo
Vibra e si scuote
come filo di tungsteno
In un prato di voci
La poesia che poi è l’amore
Che poi che ne so…
. È quando non ci siamo noi .
Come diceva Victor Cavallo
Seduto sui gradi della Garbatella
Come siede una carezza
Sopra i chiodi
E poi il resto di quello che diciamo tempo
È tutto un rincorrersi col pensiero
Con le ossessioni
Per mettere a fuoco le poche cose
Che nella vita contano
Che vale la pena di
Che non sapremo mai
Fino a quando ci saremo
Come corpi e verbi difettivi
E tiramenti tesi di sensi
Con piú o meno colpe e
In culo anche alle avanguardie.
Le cosiddette cose
è bello vedersi passare
attraversare la vita
come un container arrugginito
salutare gli amici gli amori
i cani i gatti i triangoli scaleni
e attraversare le cosiddette cose
come una luce
come un rutto o un piroscafo e
dire ciao alle pareti e ai soprammobili
agli anziani che ancora lavorano i campi
alle mani nodose che non hai mai avuto
ed è bello entrare nelle vite degli altri
ma anche dei cani e dei gatti – come sopra .
finché qualcosa non tolga il mattone
su cui si reggono i discorsi – i rutti –
le luci – i baci . i pensieri e i triangoli
e allora riattraversi l’ iperspazio vettoriale
alla rovescia – come punti non più affini
di sghimbescio – tagliare il superfluo –
e credi perfino di cambiare dimensioni ad ogni sussulto
quello dici indietro ti guarda con aria indifferente
e quelle che chiami spalle si divertono a tua insaputa
ma non importa. ci sono i cosiddetti giorni
e i cosiddetti fatti. e un certo affollamento dentro la tua testa
da poter fare un festival, un movimento. Perché no, un partito
con cui aggredire lo status quo dell’esistenza con colpi immaginari…
e proclamare la liberazione di questa o quella punta di violino-
Per fare cosa? Questo non lo so. Ma si può dividere ogni cosa e renderla
infinitamente piccola senza mai finire. non è una cosa bella?
TU NON SEI BILL EVANS
Tu non sei Bill Evans
che sa accarezzare le nuvole
come fosse un deltaplano
certo, tu sai rompere le porte
o fissarle fino a quando non si aprono
perché poi si aprono…
( e se pure non si aprono ce ne inventiamo un’altra)
e tu non sei Troisi
che sa parlare senza dire
tu, hai bisogno dell’interprete
e che sia anche perspicace!
ma d’altra parte tu sei nato fortunato
puoi ascoltare Evans e godere di Troisi
o Jarret e la Nina o qualsiasi meraviglia
e tu sai pensare a molte cose inesistenti
tipo un frebito che è un debito contratto durante l’influenza
oppure a un lapisrazzolo: preziosa matita errante dei bei tempi andati.
sai perderti in iperboli e irrompere grottesco
e senti l’odore della morte
anche nella corteccia degli alberi
e sai gioirne come fosse una rinascita
e poi sai ridere per cose senza senso
e sai anche di non avere molto senso
ma questa cosa non ti abbatte
ci sai ridere di questa nullità
e sai provare quella solitudine estrema
che è molto vicina a chissà che cosa
che però lo senti che è qualcosa
o almeno ci sai ricamare sopra come tua nonna faceva coi vestiti
o forse è solo l’illusione di.
ma tu, aspelgido slagato,
sai di essere soprattutto un uomo fortunato
eche sei ancora vivo e sai ascoltare anche la musica
qualsiasi cosa questo voglia significare.
quanto spazio hai dentro quel monolocale?
a me sembra un una fisarmonica
che stona e perde fiato
ma chi lo sa poi davvero
che cosa voglio dire…
Di certo è che tu non sei Bill Evans
Così e basta.
Scrivi che la sera è scesa
senza che te accorgessi
e che tutto parte ed è parte
e che le cose infiammano il respiro
e le luci all’orizzonte
paiono navi che
galleggiano tutta la notte
scrivi senza pensare
batti sui tasti con coraggio
non dire la verità
non dire niente
vedrai che capiranno
come chi? loro, no?
cosa? e che te ne fotte!
capiranno qualcosa di sé
o forse inventeranno. è lo stesso-
smuoveremo le acque in ogni caso
e l’intestino anche. potrebbe.
perché? Questo non lo so.
forse perché è così e basta.
come quando vuoi fare l’amore con lei
capisci? non serve un motivo.
almeno non solo uno.
è così è basta.
PROGETTO POESIAH
Diffondete bellezza con fogli di carta e paroleProgettualmente in capannelliCon discussioni e dibattiti ci si domanda di azioni da compiere per “creare” qualcosa come un inutile dio qualsiasi. Mentre fuori tutto esplode senza permessoE anche dentro se davvero aveste la forzaDi girare i tarocchi della morte. Senza essere qualcuno, ma qualcosa. Un ittero o un bisbiglio. Per esempio. Se davvero vi arrendeste. Vedreste. Questa vitaCosí com’è. Terrificante e fulgida Come una scopa rotta che canta stornelli al ventoA squarciagola. Inorridita e innamorata. Senza domandare o prendere si ride. Una nuvola che caga termosifoni Fa da paravento ai montiDa basso qualcuno col dito indica lo spremi agrumi a idrogenoUna vecchia signora scalda la pasta di ieriUn cane che lascia il lavoro e inventa onlyfansCresce la sete nel circondario. Cresce la seta negli occhi dei preti. Cresce la sega tra i vetri dei giorni.
FANTACHINÒ
Sei sul cesso. Ricordi in una poesia del vecchio che manco hai amato più di tanto. Brahams. Esce dagli altoparlanti che pare un grammofono. Fuori novembre fa il suo. Tempesta sui vetri. Un tempo eri un cinghiale sociale. Ti mischiavi con la pelle dei simili e ti trasormavi in Fantachinò. E correvi per le strade col mantello invisibile, saltando sulle bici, sui capelli e sui tombini. Se solo ci fosse la giusta compagnia, ti ripeti come un eremita stanco della grotta. Se solo… Brahams funziona. Te ne accorgi mentre spingi. La sinestesia regna anche in un cesso. La pioggia profuma di bergamotto e Sauvignon blanc. E tu cosa ci abbini? Scatta la rotella. Crack. Spit! Una bruschetta col lardo palizzata. Che dici? Puó andare? Può andare… Qualcuno mi disse un giorno : ora e qui. Questa cosa mi ha ronzato nel cervello per qualche metroquadro. La risposta fra tre giorni. Come la Wertmüller. Come gesúcristo, ma meno minaccioso. Niente da salvare. Sempre e ovunque. Sempre e ovunque… Sempre e ovunque. Cosí si annienta l’iperliberismo. Cade anche il blackbisogno. E le urgenze diventano pulcini. Pensi al museo della solitudine: L’ Eremitage… La cosa ti fa ridere. Ritorna Brahams con altre sinfonie. La pioggia oggi è controcanto. Tuona lo sciatico. Frizza un lazzo che fa rima con sprazzo. Non sei il centro del mondo. Nemmeno Di te stesso. Il pensiero divergente si è perso in qualche limite anche molto noto. Le solite domande hanno vesti sempre nuove in barba al consumismo. Il coro degli angeli sputacchia barzellette che non sanno farmi ridere. Poco importa la persona. Ti usi fino a consumarti. Come uomo e pensato e pensatore. Che senso ha scrivere per lasciare traccia? Se sei qua a tentare di annullarti per essere una cosa? Forse non sarai. O non sei. E Carmelo Pene cheffá? Ritornerá Fantachinò con il miscuglio da viaggio e sfrapperá le strade con parole azzurre anche il culo della notte. E se non risfrapperá risfrapperirerá.
Novembre21
Novembre
Ho voglia di scrivere come se fossi un uomoIn balìa di questa cosa che diciamo realtá.
Scrivere della terra e non di erinni aliene Che mangiano yougurt bianchi come coscienze e cereali che rotolano sopra iperpiani vittoriani.
E poi essere allegro come chi ha fatto il suo dovere. Come chi ha costruito questi muretti a secco che voi chiamate umana appartenenza
E poi è passato ad altro. Verticalizzando. In profondità. Dove dire “dove” è una buffonataEd il “quando” una bestemmia.
Eccoci. Senza un motivo valido.
Il sole infervora gli occhi come una gioia. Terribile nella sua crudeltá. Questa allegria che non fa più domande.
Eurekaz. La legge dell’apatìa universale.
Agosto. Che vuol dire Novembre. Le lettere si affollano nella cassetta come api.
Il pitbull del vicino scorrazza indisturbato
e si ingroppa le gambe dei passanti terrorizzati.
dall’oltretromba arrivano interferenze settembrine
qualcosa che ha a che fare con l’inizio
e con la fine. Scorreggi all’ombra del muretto.
Tenti di fare molto con poco
ti ripeti che in una mattonella è contenuto l’universo
e che tu sei più di una mattonella. Inizi a fumare per finta
una sigaretta di spentizia. Titubi molto.
La spegni con poca convinzione. Vai avanti: qualsiasi cosa significhi.
Pensi ad una scheggia d’unghia rossa che è
Il ricordo del cestino dell’asilo. Qualche altro tempo speso
a pensare stretto nelle spalle all’ombra del vecchio muro sgarrupation.
Quasi preghi che cada il masso universale
E spenga questo giro per poi ricominciare.
Gli occhi di quel cane pungono come spilli arrapati. Ti cade un fico in testa.
Eurekaz. Ti dici sottovoce. Hai scoperto la legge di dell’apatia universale.
Chiudi il telefono che hai dimenticato sopra un fiore
Nel mezzo della perggior conversazione
andandotene fresco e riposato come un rabdoamante. Clock!
Intrecci due parole per fare dispetto a nessuno e lasci attraversare
Il secolo sulle strisce pedonali. Non nascondi l’espressione di smerdizia.
S’è fatta ‘na certa. Sgaiattola il pensiero. Sfringe un poco latero il calcagno.
La strada chiama come un avvoltoio. Fatti lepreh! Urla la vocina.
: Col cazzo! Voxi! – risponde l’uccellino. E intanto il sole è tramontatoe
L’avvoltoio tristo se n’è andato ed anche io un poco il cazzo mi so’ cacato.
Tnr è l grtt
Tenera è la grotta
e la volta scura come una dimenticanza
per strada pochi cani e un fazzoletto sporco
non è sangue che lava le strade
ma polveri di riso e di fiori
e i miei amici senzavoce
annaspano tra le siepi, come funghi
e dalle finestre il ricordo del catodico
e quei profumi di tazze e porcellane
e suoni bianchi come mattonelle
quale allegria si nasconde sotto il selciato?
Forse un cucchiaino che suona come un asterisco?
E sopra riso e polveri di fiori
E il ricordo delle stelle in alto
Odora di spilucchi e pesa
come una mancanza